Il commento di oggi

TeatrAnti

editoriale giacalone 23 gennaio 2024

La vicenda di un teatro romano interessa poco i romani, figuriamoci tutti gli altri. Ma la messa in scena culturale e l’egemonia esecrata e rivendicata sono roba irresistibile, meglio di una commedia e ci riguarda tutti. Il tragico d’Italia si specchia nel gemello grottesco. Sì, in capo al teatro c’è un problema, ma non è quello di cui si parla.

Dunque giunse l’ora di spezzare ‘a eggemonia curturale daa sinistra’. La si spezzi, con sprezzo del ridicolo. L’idea stessa che la sinistra abbia avuto un ruolo egemone nella cultura è un cedimento al raggiro colà elaborato. Non è vero. Come tutte le cose date per ovvie e scontate è naturale che la mia negazione suoni paradossale, ma l’impronta culturale che ha segnato l’Italia del dopoguerra era nazionalpopolare. Come disse un pensatore vero: Pippo Baudo, impareggiabilmente danzante fra la tenue trasgressione e la rassicurante rappresentazione della realtà. La televisione di Bernabei fu una grande macchina culturale, capace di assorbire la sinistra e indisposta a lasciarsene guidare. I Corrado, i Vianello – comprese le scenette irridenti al Presidente della Repubblica (con Tognazzi) – furono scuola e trasgressione non di sinistra.

Certo che vi furono pittori e scrittori di stretta osservanza comunista. Fra loro ve ne furono di bravi e capaci di far moda, ma non furono i soli e non fu la sola moda. Se alla sinistra ottusa non si seppe contrapporre un ottimo Ignazio Silone la colpa non è dell’egemonia sinistra, ma del moderatismo disinteressato e della destra ancor più ottusa. Per il primo contava di più Sanremo e aveva ragione. Mentre i secondi inseguivano miti che i migliori letterati di destra avevano già rinnegato (dice niente Guido Piovene?). Ma non facciamola lunga, veniamo a noi. O a voi.

Luca Ricolfi ha lucidamente descritto – ne La Mutazione – la sorte delle parole d’ordine di sinistra emigrate a destra. Se ha ragione (e ce l’ha) il tema non è quello dell’egemonia da scalzare, altrimenti non si ricorrerebbe al riciclaggio dell’usato sicuro. La faccenda è che quelle parole sono state elaborate mica dalla sinistra che talora governava, ma da quella relegata all’opposizione dai (sani e benedetti) vincoli di politica estera. La destra che ha preso quelle parole è quella non che ha cultura di governo ma che ha cercato identità d’opposizione. Difatti poi sono inutili a governare, a destra come a sinistra. Gramsci c’entra un fico secco, posto che ho l’impressione che la conoscenza della loro storia e la lettura dei “Quaderni” sia roba conosciuta da tanti che se c’incontriamo tutti al Pronto soccorso non si fa neanche la fila.

E il teatro? La destra famelica che lottizza? L’animo scosso e commosso dei sinistri estromessi? Ecco, appunto. Prendi un teatro che non si regge in piedi (pur essendo bellissimo, in un posto meraviglioso e rinunciai a pagarmi la cena pur di andare a sentirvi Segovia), lo affidi a una Fondazione creata dalla Regione e dal Comune, ergo decidi che nel Consiglio d’amministrazione ci stanno cinque persone, ma non nominate dall’università anziché da altre fondazioni culturali, bensì due dalla Regione, due dal Comune e una dal Ministero della Cultura (ma non era meglio l’originario dei “Beni culturali”, perché “della Cultura” non so di che egemonia sia ma è una monata). E parte il gioco dei tre cantoni: o tutti a sinistra, o tutti a destra, o come capita. E ora capita che Regione e governo stiano a destra. Ma la cosa divertente è che avendo tre voti su cinque hanno preso la decisione in tre, assenti gli altri due.

La destra accusa la sinistra di avere una doppia morale: se lottizzano loro va bene, se lottizzano gli altri è uno sconcio. C’è del vero: lottizzano entrambe (Rai docet), cosa che è un’aggravante e non il suo contrario. E tutti tengono famiglia, più o meno allargata. L’alternativa? Non fare fondazioni che sfondano il ridicolo e non accollare alla spesa pubblica tutto quello che fallisce. La cultura deve essere e produrre ricchezza, libera di osare senza elemosinare.

Davide Giacalone, La Ragione 23 gennaio 2024

www.laragione.eu

Condividi questo articolo