Chiunque ragioni, in Ue come negli Usa come in Cina, sa che alla delirante teocrazia dell’Iran non può essere consentito di arrivare all’atomica.
Supporre che sia stato solo un clamoroso fallimento è confortante, ma forse non realistico. Il 99% del micidiale sciame assassino, scatenato dall’Iran contro Israele, è stato abbattuto in volo. Un gigantesco tiro al piattello, talché i teocrati farebbero bene a togliersi i turbanti e coprircisi la faccia. Questa la lettura più facile, ma non è detto sia la più attenta. Dei 170 droni nessuno è entrato nello spazio aereo d’Israele, come nessuno dei 30 missili Cruise, ma dei 120 missili balistici ben 10 hanno bucato i cieli israeliani. Non hanno fatto un gran danno, ma recavano un messaggio che fa più rumore del botto: siamo a un passo dall’arma atomica e possiamo entrarvi in casa. Messaggio colmo di turbanti significati.
Il resto è contorno. Il governo della teocrazia fa sapere che la faccenda si chiude qui, fine della rappresaglia. Ma che rappresaglia è? Se avessero voluto portare a casa un bottino di morti e distruzioni avrebbero potuto colpire dal Libano, attivando Hezbollah. Ma sarebbe stata una reazione al presente e relativa al passato, mentre quella scelta riguarda il futuro e consiste nel messaggio: saremo atomici e potremo colpirvi. Dalla Casa Bianca si suggerisce di accettare la finzione e incassare la bambolina vinta al tiro a segno. Il messaggio è arrivato e non ci sono possibili risposte immediate. L’Iran azzarda a colpire direttamente Israele e lo fa partendo così male da sembrare quasi abbia avvisato il destinatario. Non avrebbe senso rispondere restituendo il servizio e facendolo con efficacia, perché alzerebbe la tensione senza neanche lontanamente rispondere al significato del messaggio. Lo sarebbe bombardare e cancellare i siti di fertilizzazione dell’uranio, ma è un’operazione che Israele non può compiere da solo e che non escluderebbe consegne da parte russa. Questo il significato delle parole di Biden: saremo sempre al vostro fianco, ma non nel rispondere in fretta e inutilmente.
La realtà con cui si devono fare i conti non è quella di qualche Stato canaglia, ma di una stagione in cui i perdenti della globalizzazione vogliono vendicarsi con i vincitori. Che siamo noi. Iran e Russia si trovano uno a fianco dell’altro non perché abbiano affinità ideologiche, ma perché sono due perdenti in cerca di vendetta. Li guida la rabbia e li spinge la convinzione di poter far pagare al proprio popolo qualsiasi prezzo. Ma su quel fronte si trova un Paese che non dovrebbe starci: la Cina. E senza la Cina a guardare loro le spalle, quelle canaglie sarebbero ben più facilmente gestibili.
La Cina non è un perdente della globalizzazione, ma uno dei suoi protagonisti. È divenuta la fabbrica del mondo, sa di non potere rinunciare a questo ruolo, ma non si accontenta più solo di quello. L’aggressività russa consegna ai cinesi la possibilità di allargare enormemente la loro influenza territoriale, rendendoli vassalli (cosa mai avvenuta in passato). Il misticismo assassino degli iraniani non li tocca, ma vedono che impegna e colpisce il solo grande protagonista globale con il quale si paragonano: l’Occidente. Cui rimproverano quella che considerano un’ingerenza, ovvero impedire alla Cina di espandersi nel Pacifico e riunificarsi inghiottendo anche Taiwan. Sicché è nel loro interesse che dei cani rabbiosi latrino verso Occidente. Alla Cina non conviene tornare al mondo chiuso che ha in mente Putin, ma non dispiace che in quello aperto i concorrenti siano lavorati ai fianchi.
Chiunque ragioni, in Ue come negli Usa come in Cina, sa che alla delirante teocrazia iraniana non può essere consentito di arrivare all’atomica. E sa che quella non è una partita regionale, ma globale. Le anime belle e cieche farebbero bene a capire che il 7 ottobre l’Iran non ha spinto dei terroristi a colpire Israele, ma ha messo in moto un meccanismo che aggredisce gli interessi e l’esistenza anche dei Paesi arabi (quale l’Iran non è). La diplomazia lavora su questo terreno, magari anche facendo finta di credere che l’attacco iraniano sia stato solo un fallimento, ma cogliendone il pericoloso significato.
Davide Giacalone, La Ragione 16 aprile 2024