Il commento di oggi

Un taglio

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Ci sono stagioni in cui le sfide più rilevanti arrivano dall’esterno. A prevalere su ogni cosa, oggi, è la collocazione internazionale dell’Italia. Tutt’altro che scontata, viste le venature anti atlantiste che attraversano la storia repubblicana, radicate in un passato antidemocratico che ha accompagnato, opponendovisi, il Risorgimento. Mario Draghi ha, su questo fronte, meriti non sottovalutabili.

Ciò non toglie che il tempo a disposizione del governo va scemando. E che il lavoro svolto rischia di potere essere dissolto, proprio perché non consolidatosi. Con correttezza istituzionale il presidente del Consiglio ha costantemente ricordato che la stabilità del governo la si deve al consenso dei partiti e dei parlamentari della maggioranza. Quel consenso è costato anche dei compromessi e delle rinunce, il cui peso, però, può ora essere asfissiante. Il Draghi che ha saputo cucire dovrà porsi il problema di come tagliare, se non si vuole che il lavoro svolto lo si possa strappare.

Abbiamo già cercato di raccontare in che contesto va inquadrata la decisione della Banca centrale europea, circa il rialzo dei tassi. Annunciata, non affrettata (semmai taluni la ritengono ritardata), non esagerata (semmai si contesta che sia troppo poco). Comunque è un fatto. La scelta di portare i tassi a zero e di avviare l’acquisto massiccio di titoli del debito pubblico, scelta ora mitigata, porta la firma di Draghi e della maggioranza del board della Bce. L’obiezione fin dall’inizio mossa da chi, in quel consesso, non la condivideva era: capiamo l’intenzione, ammiriamo la competenza, ma quella disponibilità finanziaria renderà più facile la spesa pubblica improduttiva, più accessibile lo spendere senza pagar dazio, piuttosto che portare a una diminuzione del deficit e del debito, grazie alla minore spesa per gli interessi (fra il 2013 e il 2019 l’Italia ha potuto risparmiare 111 miliardi nel pagare il prezzo del proprio debito, che, però, non ha smesso di aumentare). Quella decisione della Bce ha fatto la storia della nostra Unione, ma sarebbe ottuso non riconoscere che quell’obiezione aveva un fondamento.

Certo, il Covid ha infettato anche i conti. Chi, come noi, si batteva perché fossero risanati non poté non prendere atto che erano inevitabilmente contagiati. Ma il Covid è solo un pezzo della faccenda. Nulla c’entrano con il virus le facciate, le tende, i monopattini e via così dilapidando. E, francamente, se avessi messo una firma a garanzia dei conti di un fratello in difficoltà, da una parte ne sarei orgoglioso, dall’altra interverrei innanzi alla sua vita dissoluta: o la smetti, e ti aiuto a smetterla, o in rovina ci vai da solo.

Le partite che il governo Draghi è stato chiamato a giocare sono più grandi e importanti dell’impuntarsi su questa o quella spesa sciocca, controproducente, ma, in fondo, non determinante. Vero. Capisco. Ma va capito anche che quella roba è divenuta simbolica di un andazzo che porta al suicidio e che, da un certo punto in poi, ci si può sentire dire: anche Draghi concordava. E conta niente che non concordasse affatto, perché contano i fatti. E nei fatti ha consentito.

Ora il tempo si consuma in fretta. La questione più delicata è internazionale. Ma se ci si limita a dirlo va a finire che non si rimedia all’interno e si lascia la possibilità al fronte antiatlantista, che è al fondo un fronte antidemocratico, di vestire i panni di un pacifismo falso e imbelle, spalla dell’imperialismo guerrafondaio, ma proprio per questo eco di una realtà che ha un lungo e poco promettente passato.

Nel tempo che resta, quindi, Draghi farebbe bene a rendere chiaro che consentire quei mostriciattoli dei bonus è stata una scelta di convenienza, per potere continuare il lavoro intrapreso e mettere in sicurezza l’Italia. Una scelta di convenienza che sarebbe scellerata se acriticamente avallata. Nessun governo, mai, deve avere i “pieni poteri”. Questa è roba che appartiene alla cultura opposta a quella che ha reso ricca e libera l’Italia (e tutto il mondo civile). Ma a chi governa resta il potere di segnare un limite oltre il quale la mediazione è cedimento, che ci mette nulla a divenire frana. Ai cittadini va detto. Ed è meglio qualche taglio dello strappamento per sfinimento.

Davide Giacalone, La Ragione 15 giugno 2022

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