L’Italia, come tutte le democrazie occidentali, è al fianco dell’Ucraina. Tale collocazione fu fissata quando al governo c’era Mario Draghi – che nel farne la posizione europea ebbe un ruolo di rilievo – e qui plaudimmo alla decisione di Fratelli d’Italia, allora all’opposizione, di condividerla. Nonostante nella maggioranza di governo vi siano opinioni opposte, quella linea è stata positivamente ribadita. Qualità e quantità di armi inviate sono giustamente coperte da segreto. Così come sono opportunamente riservate le comunicazioni del governo al Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica. Ma si è creato un problema.
Proprio in occasione di una riunione Copasir, nel giugno scorso, è trapelata la notizia dell’avere deciso di inviare una batteria Samp T per la difesa dagli attacchi aerei. Scelta coerente sia con le decisioni fin lì prese sia con la speranza che il non alimentare una escalation del conflitto si traduca – come si è tragicamente tradotta – in una esposizione della popolazione civile al massacro. A fine agosto è stato il ministro della Difesa, Guido Crosetto, a rendere pubblico il proprio disappunto per il fatto che quel sistema difensivo, da lui esplicitamente richiamato, non fosse ancora stato consegnato, attribuendone la responsabilità alla ditta privata incaricata della manutenzione, che sarebbe andata in ferie o, comunque, non avrebbe lavorato quanto sarebbe stato necessario. E qui il problema diventa grosso.
Che il ministro della Difesa sia portato a manifestare il disappunto e pubblicizzarne la motivazione è già di suo inquietante. Gli ucraini crepano sotto le bombe criminali e l’Italia, a dispetto della volontà del suo governo, non riesce a rispettare le scadenze di consegna, per giunta a causa delle vacanze? Non abbiamo ragione di credere che le cose non stiano esattamente come il signor ministro le ha rese pubbliche, ma deve essere giunto alla disperazione per avere deciso un simile passo. Tanto più che la sua indubbia competenza è assicurata non solo dal ruolo che ricopre, ma dalla lunga esperienza industriale nel mondo della difesa.
Quei privati incaricati della manutenzione sono legati da vincoli contrattuali? Non può che essere così. E sono richiamate le scadenze cui attenersi? Se la risposta è positiva e la consegna ha ritardato non resta che far valere il contratto, applicare le penali e degradare quella ditta nell’elenco dei fornitori. Se la risposta fosse negativa, sicché ai privati nulla può essere formalmente contestato, allora il problema è più grosso, perché si dovrà contestarlo al Ministero o al soggetto pubblico che ha firmato il contratto.
Non è finita. Sarà cinico sentirlo ricordare ma le imprese attive nel mondo delle armi stanno lavorando a pieno regime: una che va in vacanza o non lavora il fine settimana esce fuori mercato in fretta oppure ci resta dentro soltanto perché protetta dai contratti pubblici. Crosetto ha sostenuto che se Putin decide di produrre armi se ne producono nella quantità desiderata, quasi manifestando una certa invidia della prestazione. Se è per questo non si risparmiano neanche in Corea del Nord e in Iran. Ma non è che il resto del mondo stia a guardar le stelle e nei limiti delle loro possibilità – senza per questo condannarsi all’inferno russo dell’economia di guerra o alla dittatura – molti hanno incrementato la produzione. Chi non lo facesse non va protetto ma abbandonato al suo destino.
L’accoramento del ministro della Difesa getta una luce inquietante sul sistema produttivo italiano dedicato alla difesa, che pure ha eccellenze con mercato internazionale. Per questa ragione, nell’interesse nazionale, sarebbe un grave errore accantonare la questione. Di quelle parole va scandagliato profondamente il significato. Con riferimento sia ai rapporti fra lo Stato e i suoi fornitori, sia alla condizione di quel settore produttivo, sia alla credibilità di un governo che non riesce a farsi valere su una questione tutto sommato limitata, sia al buon nome dell’Italia.
Davide Giacalone, La Ragione 3 settembre 2024