Finché lo dicono i propagandisti anti euro e anti Europa si può capirli. Tanto più che il problema è reale e il fatto sussiste. Ma che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, rimproveri alle banche italiane d’essersi ciucciate via i 1000 miliardi prestati dalla Banca centrale europea, senza che ne arrivassero granché al credito, quindi alle imprese e alle famiglie, è grottesco. Credo farebbe bene a correggersi, perché ammettere un errore è sempre meglio di lasciar credere che in quella bischerata crede veramente.
Quei soldi furono prestati con un meccanismo tale, e con richieste di garanzie collaterali opportunamente circoscritte, da funzionare esattamente per quello cui sono stati indirizzati: contrastare la speculazione contro i debiti sovrani. Quell’operazione, ideata dalla Bce, è la sola cosa europea che abbia avuto efficacia. Se i tassi d’interesse pagati dallo Stato sono scesi e si è contratto lo spread (meno di quel che appare dagli indici, però, perché va anche calcolata la differenza d’inflazione) lo si deve a quella manovra. O Delrio crede che sia merito del governo italiano? E, già che ci si trova, crede anche che sia merito dei nostri governanti se cosa analoga è successa in Spagna (e nel resto d’Europa)? Se così fosse sarebbero finiti fra le cose rottamate non solo i testi su cui studiare, ma anche il senso del ridicolo.
La polemica nasce dal fatto che le banche hanno reagito male all’innalzamento della tassazione sulla rivalutazione del patrimonio Banca d’Italia, passato dal 12 al 26%. Credettero di gabbare e furono gabbate. Udito in commissione parlamentare, il direttore generale dell’Associazione bancaria italiana, Giovanni Sabatini, ha detto che la trovata governativa finirà con lo strozzare il credito. Già asfittico di suo. Da qui la replica, con sproposito, del sottosegretario. E’ indubbio che una maggiore prelievo fiscale diminuisca la liquidità delle banche, quindi i soldi con cui possono operare. Sul principio Sabatini ha ragione, anche se sulla dimensione (oltre un miliardo di credito in meno, ha detto) ha esagerato. Questo, però, a me pare l’aspetto meno rilevante, talché, fra Sabatini e Delrio, non si sa chi abbia maggiore torto.
L’Abi coprì gioiosa la porcheria di quella rivalutazione, che ha comportato un trasferimento di ricchezza dal pubblico patrimonio alle casse di alcune di loro. Compensarono il regalo con una maggiorazione fiscale, di minore valore ma d’immediata cassa. Cosa che serviva al governo. Il governo, da parte sua, garantì una tassazione al 12%, mentre ora si rimangia la parola, agisce con norma retroattiva e va oltre il suo raddoppio. Qui chiedemmo l’intervento di Matteo Renzi, allora solo segretario del Pd, per fermare la porcheria. Tacque. Di ciò lo considero colpevole. Ma Delrio supera tutti, perché era ministro nel governo del 12% e lo è in quello del 26. Sta in commedia quando si regala e resta in scena quando, in modo tecnicamente inaccettabile, si reclama indietro. Siede nella collegiale responsabilità governativa quando si prende una decisione e quando la si smentisce. Non è una bella cosa.
Il tutto senza dimenticare che per gli italiani risparmiatori la maggiore tassazione al 26% è già stata (da questo governo) decisa. Con la scusa di chiamarle “rendite finanziarie” si fa credere che riguardi i ricchi, invece riguarda tutti. Solo che i risparmiatori, gli accumulatori di uno dei punti di forza del nostro Paese, non vengono auditi dalle commissioni parlamentari, non rilasciano dichiarazioni e non possono minacciare ritorsioni. Devono solo pagare. Non ci si stupisca se il loro giudizio complessivo non sarà colmo di sfumature e distinzioni.
Pubblicato da Libero