Politica

16 anni dopo

Finalmente Gianfranco Fini ha detto una cosa di destra, anzi no, è riuscito a dirla fascista: gli inquisiti si dimettano. Non prendetevela con lui, anzi ringraziatelo, egli rende un servizio alla collettività ricollocandosi nel filone più congenito, quello che portava lui e i suoi camerati a inneggiare al manipulitismo, a trascurare l’istituto borghese della presunzione d’innocenza e la pretesa liberale di difendere i diritti dell’individuo, non lasciandolo preda degli accusatori di Stato. Ringraziatelo per la pertinacia con cui sta ricomponendo il fronte, facendo emerge con nitida chiarezza quel che da anni sosteniamo: nulla è più a destra del giustizialismo, anche quando veste i panni dipietreschi dell’alleanza con la sinistra o quelli travagliati del giustizialismo senza giustizia. Si sono ritrovati, eia eia.
Queste, però, son quisquiglie. Se si vuol conservare la capacità di ragionare non ci si deve far distrarre da chi riesce a sostenere tesi opposte, separandole solo con il tempo e accomunandole con la convinzione espositiva. La questione di fondo è un’altra, ben più rilevante: dopo quindici anni il disegno berlusconiano di creare una forza moderata e maggioritaria, capace di contrapporsi alla sinistra senza rinunciare alle ragioni della modernità, rischia di ridursi in cocci. Le parole di Fini sono benemerite anche perché chiariscono un punto determinante: l’elettorato di centro destra è maggioritario, lo è sempre stato, ma le forze politiche che lo rappresentano sono deboli, divise, incapaci di elaborare un pensiero, di esercitare attrazione culturale e intellettuale. Quelle forze politiche campano grazie agli elettori, ma gli elettori non trovano risposte in quelle forze politiche. E’ il dramma di un Paese anarco-autoritario, privo di classe dirigente.
Tale mancanza, sia chiaro, non emerge solo dai dissensi politici interni alla maggioranza, che, di per loro, sarebbero anche naturali, se si appuntassero sulle cose da farsi, anziché sulla legittimità dei protagonisti. Il vuoto di classe dirigente emerge anche dalle persone che non dissentono, che marciano compatte accanto a Silvio Berlusconi, ma che sono, per una considerevole quota, degli incapaci. Anche dei lestofanti? Non saprei, può darsi, ma mi son fatto una convinzione: non eccellono neanche in quel campo.
Il popolo di centro destra c’è. E’ numeroso, si muove con entusiasmo. E’ pronto a battaglie dure, ha resistito ad insulti continui, personali e beceri. E’ costituito dai tanti che non si sono allineati al conformismo perbenista, ma son rimasti persone per bene, che hanno sfidato i luoghi comuni televisivi nei bar e nei posti di lavoro (meno, molto meno, nelle cattedre e nelle redazioni). Questa gente rappresenta un’Italia che ha creduto nella possibilità di far scendere la pressione fiscale, liberare il mercato, corrodere la burocrazia, che considera giusto vivere con il frutto del proprio lavoro, senza pesare sulle spalle altrui, che è pronta ad accogliere immigrati da ogni dove, ma non a veder trasformati i propri quartieri in lande di droga e prostituzione. C’è un’Italia convinta che la libertà non consista nel pensarla tutti allo stesso modo, seguendo capi politici che in passato non ne hanno azzeccata una, che si vantano d’essere stati dalla parte del torto. Ed è un’Italia che non solidarizza con i ladri o i mafiosi, ma che quando s’accusa qualcuno di qualche cosa ancora ricorda che la propria causa di condominio dura da quindici anni, che il giudice del piano di sopra dice di lavorare a casa, ma passa la giornata sul campo da tennis, che essere onesti è una cosa, mentre essere intercettati e dovere rispondere d’ogni propria parola è ben altra e incivile cosa. Ecco, questa Italia s’accinge a non avere rappresentanza politica, così come, del resto, da tempo l’ha persa l’Italia della sinistra democratica e antitotalitaria, il cui spazio è stato usurpato da manoleste ideologizzate.
Berlusconi poteva e può giocare un ruolo per entrambe queste italie, in buona parte sovrapposte. Lo accusavano d’essere un imprenditore in conflitto d’interessi, ma gli italiani lo votano proprio per quello. Sì, anche per il conflitto d’interessi, che non è affatto una bella cosa, ma considerato meno nocivo di quello che porta i ras politici locali a nominare i propri manutengoli nelle aziende sanitarie e negli ospedali. Nel 1994 ebbe il merito enorme (storico, lo scrivo con totale convinzione) di fermare il manettarismo squadrista e togato. Ma cadde subito. Nel 2001 vinse, ma s’impantanò in una coalizione litigiosa, che lo portò alla successiva sconfitta (sia pure per un pelo). In quella legislatura, del resto, si provò a far quello che tutti i Paesi civili, senza nessuna eccezione, hanno già fatto: separare le carriere di giudici e accusatori. Non si riuscì, si opposero gli uomini di Alleanza Nazionale, capitanati da Fini. Perché, cribbio, la coerenza c’è, quando non manca un interesse da assecondare e una corporazione cui appoggiarsi. Nel 2008 vinse ancora, e siamo da capo. Può dire quanto gli pare che il Popolo delle Libertà è “perfetto”, ma è una barzelletta. La verità è che governare è semplicemente impossibile se non si riassestano gli equilibri istituzionali e se non si vara un sistema elettorale autenticamente e onestamente maggioritario.
A questo si lega anche la speranza di dare rappresentanza coerente e qualificata alla maggioranza degli italiani. Fin qui, come vedete e come è inutile negare, non ci si è riusciti.

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