Politica

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Lo scontro fra Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti non è una faccenda personale e, a dire il vero, del fatto che vadano o meno umanamente d’accordo m’interessa meno che niente. Ci sono questioni politiche e istituzionali, che vengono assai prima e generano effetti duraturi. Il fatto che si cerchi di reagire all’evidente divisione proclamando “non me ne vado” è totalmente privo di senso. Vale per loro come per qualsiasi altra carica istituzionale. In questa legislatura abbiamo già dato, in termini di posti occupati come abusivi in casa altrui. Qualcuno li avverta che le istituzioni non sono cosa loro.

Andiamo direttamente alla sostanza. Giulio Tremonti ha meriti indubbi, perché è riuscito a tenere stretti i cordoni della spesa, conducendo l’Italia ad avere, in un momento difficilissimo, il bilancio in avanzo primario. Si deve essere più che incompetenti, direttamente incoscienti per non riconoscere il valore di questo fatto. Purtroppo non è stato capace di entrare dentro la composizione della spesa, che rimane un aggregato indistinto e caotico, sicché i tali sono stati “lineari”, vale a dire alla cieca, mettendo in difficoltà le cose buone e solo diminuendo l’ossigeno alle cattive. Ciò è grave, perché oramai egli è il più anziano ministro esistente, in quanto a esperienza e durata in carica, e ciò significa che o proprio non è capace, oppure che al governo mancano gli strumenti per conoscere e deliberare la spesa. Non saprei della prima, ma la seconda ipotesi è amaramente vera.

Il ministro dell’economia ha però aggiunto un di più, al lavoro svolto: s’è impancato a superiore dei suoi colleghi, ha usato la spesa come strumento di controllo politico, ha agito in modo sprezzante e, nel tempo, ha dimenticato un rilevante dettaglio: non è dotato di forza elettorale propria. E un po’ come essere preso quale consulente in una società di cui non si posseggono quote: all’inizio pendono dalle tue labbra, nel tempo, se sei bravo, finisci con il governarla, ma se poi rompi le scatole e imbocchi la via dell’arroganza si ricordano che sono loro a pagarti.

Tremonti, infine, prova disperatamente a sottovalutare l’effetto dello scandalo Milanese, il che lo porta a comprendere poco del perché i suoi colleghi di maggioranza sono imbufaliti: ci sono cose indifendibili, che a loro è toccato difendere, ma lui, il responsabile politico dell’accaduto, quello che aveva delegato poteri sbagliati alla persona sbagliata, aveva il dovere di metterci la faccia.

I meriti di Tremonti si devono alla sua tenacia e all’avere visto i possibili effetti della crisi, ma la condizione prima che ne ha reso possibile la pratica realizzazione risiede nella forza elettorale e politica di Berlusconi, senza la quale egli sarebbe un autore di saggi, costretto a spiegare perché nel penultimo è scritto il contrario che nell’ultimo. L’intero governo si regge sulla forza di uno, anche se non tutti sono disposti a pagare per gli errori dello stesso.

Berlusconi, però, ha commesso un errore assai grave quando ha lasciato che Tremonti s’intestasse, da solo, la garanzia sulla tenuta dei conti pubblici italiani. Ci sono cose che un capo del governo non può e non deve delegare, a cominciare dalle questioni relative alla collocazione del Paese in Europa e nel mondo. Per troppo tempo s’è lasciato credere che Tremonti fosse il cattivaccio e Berlusconi il mollaccione pronto a spendere, e anche ammesso che si sia trattato di un gioco delle parti, era un gioco sbagliato, che ha terribilmente indebolito Berlusconi. In malefica coerenza con quest’impostazione il capo del governo fungeva da spalla sulla quale i ministri “tagliati” andavano a piangere, consolandoli con il proprio dolore, perché anche lui subiva le impuntature di Tremonti. Questa roba, inaccettabile, s’è vista anche dall’esterno, s’è odorata, e, prima che la speculazione sui debiti sovrani travolgesse tutto, i mercati e i partners guardavano più verso il ministro che verso il suo presidente. Malissimo.

Ora, per rimediare, presi dalla stizza e dalla necessità, minacciano Tremonti con l’idea di una “cabina di regia”, che lo espropri dei poteri. E’ ridicolo. Anziché coltivare idee bislacche provino a leggere l’articolo 95 della Costituzione: “Il Presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri”. E’ in vigore da tempo.

Prima che commettano nuovi pasticci, rammento anche che il governatore della Banca d’Italia è nominato con decreto del Presidente della Repubblica e, da anni, colpevolmente, s’è preso a considerare quella firma come espressione di una decisione. Posto ciò, l’indicazione al Quirinale non arriva dal ministero dell’economia, ma dal governo. E aggiungo: il governatore, oggi, non ha più i poteri di un tempo, ma siede nel board della Banca Centrale Europea, dove abbiamo appena finito di mandare, al posto di presidente, il suo predecessore. Spero non sia chiedere troppo il porre un limite alla schizofrenia.

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