Politica

A chi perde di più

Occorre essere dotati di solida insensibilità istituzionale per non rendersi conto dei due colpi, durissimi, che la Repubblica è costretta ad incassare. Scrivo “Repubblica”, perché parliamo dell’Italia, se parlassimo di sistemi politici scriverei “seconda Repubblica”, che con questi due colpi segna la sua fine.

Siniscalco, lo sostenevo ieri, scappa davanti alla finanziaria. Egli non si è dimostrato capace di governare la complessità economica, e se ne torna dagli studenti, cui s’insegna una più docile dottrina libresca. Ma, sia chiaro, come la Costituzione ancora stabilisce, la responsabilità della collegiale linea politica del governo spetta al suo presidente.

Siniscalco se ne va, scappa, e nella sua breve stagione ci ricorda il rischio che si corre a tradire alcuni canoni democratici. Il professor Siniscalco non lo ha mai votato nessuno e nessuno lo voterà. Sarà lui a mettere i voti, è lui a stabilire quando andar via, è lui a ritenersi il metro di una linea politica, senza essere sfiorato dall’idea che non può che esserne il mero interprete, sempre come Costituzione detta. Tutto ciò dice, chiaro e tondo, che nell’amministrare la cosa pubblica dove non c’è responsabilità politica c’è irresponsablità. Il che non significa che solo gli eletti dal popolo possono rendersi utili (o dannosi), ma solo loro detengono la democratica legittimazione a far nascere e morire i governi.

Il secondo colpo, devastante, riguarda la Banca d’Italia. Fazio sta completando la sua opera di demolizione: se non corre a spedire un telegramma di dimissioni, se pensa di tutelarsi con una sentenza del Tar, sarà sloggiato in malo modo, senza alcun rispetto, in un ribollire puteolente d’inchieste penali, arricchimenti illeciti, violazione del diritto, contrapporsi d’interessi non dichiarati e non dichiarabili, sospetti di trame segrete e tonacate. Una schifezza i cui schizzi imbratteranno a lungo il volto patrio. E’ incredibile che Fazio non abbia ancora scelto l’unica strada esistente per far valere le sue ragioni, l’unica che gli consentirebbe di potere ancora spendere una parola nel senso di quelli che lui pensa essere gli interessi nazionali.

Detto questo, l’avere costretto il capo del governo a riconoscere nel governatore della Banca d’Italia un danno per l’Italia, è un disastro. Si sentono felici, così, gli eredi dell’immortale Italia della guerra per bande, quella degli intrighi e delle famiglie, quella dei signorotti e delle corporazioni, ma piangono quanti hanno creduto potesse esistere l’Italia delle istituzioni e delle leggi, dei controlli e delle garanzie, degli interessi nazionali selezionati e scelti per via democratica.

Nel clangore delle spade di latta si consuma l’esperienza della seconda Repubblica, ma senza un punto di fermo che ne arresti la corsa verso il niente. Si annunciano elezioni politiche dove la sfida sarà a chi le perde di più. Non possiamo che sperare di trovare qualche interlucore assennato, fra quanti le perderanno di meno.

Condividi questo articolo