Politica

‘a curtura

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Curturarmente parlando, la destra sembra avere una certa invidia per la prestazione della sinistra: basta con il loro dominio egemonico, ora anche la cultura di destra vuole il suo spazio e intende dedicarsi alla costruzione di un “immaginario italiano”. Il che lascia immaginare un titanico scontro di citazioni. Colti in flagranza di rivincita, stanchi d’essere colti di sorpresa, sfidano la sinistra a non essere colta in contropiede. Una specie di ritorno adolescenziale alle camerette con i poster, salvo scoprire appresso a quali caratterini dispotici avevano intestato gli appizzati a monito dell’identità culturale del colà dormiente.

Sul serio la sinistra dominò la cultura? Ne ricordo diversi, di intellettuali che più che “di sinistra” erano comunisti, desiderosi che non si ricordasse che erano stati fascisti. E come il fascismo dedicò qualche attenzione alla costruzione di una propria identità culturale, con il risultato di sputtanare presso i posteri i chiamati a contribuire, anche il comunismo s’impegnò nel medesimo esercizio, ottenendo il medesimo risultato. Sicché toccò a noi antitotalitari ripescare nei due secchi quel che effettivamente aveva un valore, a prescindere dall’impostura dell’arruolatore e dalla viltà dell’arruolato. Se può servire ad evitare un inutile dimenarsi citazionista, segnalo che i due approcci hanno diversi tratti in comune: ad esempio il progressismo sinistro se la prese con il latinish, come il conservatorismo destro se la prende con l’inglesorum. Ma la faccenda è piuttosto semplice: solo l’incolto usa il vocabolo che crede colto, laddove chi voglia esprimere un pensiero cerca la parola appropriata e d’uso comune, senza far distinzione di lingua. Sul punto fu piuttosto chiaro un milanese che metterei fra le colonne della cultura italiana e che non cito per non partecipare alla corrida citazionista. Illustrò come il linguaggio oscuro serve ad azzeccare garbugli in danno altrui.

Generosa l’idea di tracciare il solco della cultura nazionale, che ribadisca un’identità che si suppone altri voglia sbiadire. Ma, a parte il fatto che una cultura si esalta nel diffondersi contaminandosi e non nel difendersi marmorizzandosi, sarà interessante vedere come la si metterà con uno dei poemi epici fondativi della stirpe italica, ove si narra di progenie giunta emigrando dall’estero, non a caso figli di Troia, mediante un barcone e con l’anziano babbo in collo, da accollare ai popoli ove si sbarca. E chissà se fra i messaggeri della cultura non si vogliano mettere anche quelli che emigrarono illegalmente dall’Italia, inseminando le terre d’arrivo di lavoro, usi e costumi, qualche crimine e non pochi pargoli.

Ma non divaghiamo: quindi la cultura fu di sinistra? Non so, talora ripasso davanti ai miei scaffali farciti di Editori Riuniti, i cui prodotti furono letti per cieca fede e indottrinamento comunista, ma tanta parte dei quali risultano indigeribili anche ai ruminanti. Sul serio volete imitarli? Suvvia, ma non è forse vero che se non eri di sinistra non ti pubblicavano? No, non era vero. Ma era (ed è) vera una cosa che gli è vicina: el pueblo unido ama il conformismo, che aiuta a conoscere un libro senza leggerlo e ad apprezzare un film dormendo durante la proiezione. E non c’è dubbio che il soccorso al vincitore (op. cit. ma di chi?) resta sport nazionale.

Una variante vuole che ‘a curtura sia quella popolare, trasmessa dalla Rai. Dalla Rai, non dalla televisione, perché solo la Rai si lottizza, mentre le televisioni commerciali, il cui artefice è un Tale forse non sconosciuto, a destra, non trasmisero Le sorelle Materassi, ma l’intrattenimento all’americana. Se, quindi, tutto ciò serve a prendersi una fetta più grossa della Rai, fate pure. Io la venderei. Una avvertenza: la satira funziona, in un Paese bacchettone e anarchico, ma quella di sinistra percula la sinistra. Fatece ride.

La cultura è libertà. Quella colorata è già più circense. Quella di parte è solo in parte cultura. Cosa l’autore voti o con chi (e quanti) vada a letto, sono affari suoi. Libero di raccontarcelo, ma avrà un senso se sarà difficile e doloroso, altrimenti chiamasi ruffianesimo. La cultura non ha casa né chiesa. Se provate a irreggimentarla, magari con gli Stati generali (ma non era roba francese?), sarete colti con le mani nel saccente.

Davide Giacalone, La Ragione 9 aprile 2023

www.laragione.eu

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