Politica

A proposito del 138

Si torna a parlare di riformare la Costituzione, continuando a credere che ciò sia necessario al fine di assicurare stabilità e governabilità al paese. Per la verità, fin qui, le riforme costituzionali che si sono fatte non lasciano ben sperare.

Si è, ad esempio, inserito nella Costituzione il principio del “giusto processo”, e lo si è fatto copiandolo dalla Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo. Sembrerebbe cosa buona e giusta, se non fosse che trovandosi già nella CEDU, all’articolo 6, quel principio aveva già il rilievo di una legge costituzionale, e, quindi, l’innovazione è assai meno innovativa di quel che si vuol far credere.

Questo per dire che non basta votare una modifica per affermare di aver riformato qualche cosa, ci vuole un disegno chiaro, un tragitto altrettanto lineare, un sicuro punto d’approdo. Al momento non si scorge nulla di tutto questo.

Altro esempio: affermare che senza una riforma della Costituzione il governo non è in grado di governare è un totale non senso: in Italia, con questa Costituzione, se un governo ha la maggioranza parlamentare può governare, se lo sa fare. Ed ancora: dire che si deve adottare l’elezione diretta di qualcuno solo perché riforme abborracciate delle leggi elettorali, combinatesi con lo sterminio violento dei partiti politici, hanno introdotto l’abitudine di votare per il presidente del Consiglio è un ulteriore non senso, che neanche tiene conto che anche la volta scorsa si votò nello stesso modo, e ne cambiammo tre in corso d’opera.

Per adesso, però, mi preme richiamare l’attenzione sull’articolo 138 della Costituzione, tutt’ora in vigore. In questo si stabilisce quali sono i meccanismi di revisione costituzionale: se il Parlamento vota con maggioranza di almeno due terzi le riforme sono immediatamente esecutive; se sono approvate a maggioranza assoluta, entro tre mesi può essere proposto referendum. Il che significa che il costituente, ad esclusione dell’immodificabile forma repubblicana (art. 139), stabilì che la Costituzione potesse essere modificata, a maggioranza, in ogni sua parte. Eppure, nonostante questo sia chiarissimo ed inequivocabile, si fa un gran parlare della necessità di “più ampie convergenze”, vale a dire, per tradurre dal politichese, che per modificare la Costituzione sarebbe necessario un accordo fra maggioranza governativa ed opposizione parlamentare. Perché? Perché sarebbe quasi eversivo attenersi a quanto la stessa Costituzione prevede?

Dal 1948 al 1992 su questo tema non vi erano equivoci, così come non ve n’erano sui regolamenti parlamentari, e sulle stesse prime tre cariche dello Stato. La ragione di questo sta nel fatto che tutte le forze politiche, ad eccezione di minime frange estremiste, si sentivano figlie della Costituzione ed erano legittimate, oltre che dal voto popolare, dall’avere partecipato al processo costituente. L’idea della “casa comune”, insomma, pur nella forza, e talora nella brutalità, dello scontro politico non era semplicemente retorica.

Oggi lo strano, ed a tratti surreale, dibattito sul 138 (“modificheremo la Costituzione secondo il 138”; “non fatelo, sarebbe eversivo”; due affermazioni da manicomio), nasce non dall’ubriacatura dei costituzionalisti, ma dalla dubbia legittimazione delle forze politiche: questo mondo è figlio di un colpo di mano, nasce dallo scardinamento di un regolare responso elettorale, ha un dna non del tutto omogeneo alla Costituzione. Per questo il sospetto, quando non la paura, prende piede.

Certo, essendo oggi la maggioranza di centro destra è il centro sinistra ad issare la bandiera del pericolo, quando si procede a maggioranza. Quello stesso centro sinistra che, quando era maggioranza, non esitò ad applicare quanto previsto nella prima parte del 138. Ma rimarcare questo non significa avere risolto il problema, quasi tutto possa essere ridotto alla corrida del talk show. Serve solo a dimostrare che il centro sinistra commise un errore, un grave errore politico. Ma la questione resta.

Resta al punto che, a dispetto dei grandi proclami, le riforme è difficile che si facciano. Ma comprendere le ragioni della difficoltà, individuare quali sono le radici del problema, capire perché sembrano così strani certi discorsi sul 138, serve a creare le condizioni di un futuro meno condizionato dal passato. Serve a capire che mentendo sul passato, occultando il guasto d’origine di quella che si è voluta chiamare seconda Repubblica, è ben difficile immaginare un futuro.

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