Politica

Acqua cara

Nessuno ha voglia di dire agli italiani che se a Torino devono pagare l’acqua che non hanno consumato, se si devono preparare a due anni di aumenti del 10% delle tariffe, ciò ha anche a che vedere con il referendum sull’acqua, tenutosi nel 2011. Allora stravinse l’idea che dovesse restarne pubblica la gestione. Questo è il risultato. Sgradevole da dirsi e da sentirsi dire, ma tragicamente vero.

Allora si fece una grande campagna contro la vendita dell’acqua ai privati, cosa che, naturalmente, era fuori dal mondo. Nessuno ha mai supposto di privatizzarla, ma di privatizzarne la gestione. A sostenere la gestione privata rimanemmo in pochini, mentre l’onda del luogocomunismo spaventò gli stessi, Partito democratico in testa, che pure avevano positivamente operato in quel senso. Il centro destra si squagliò, com’è suo costume quando si tratta di reclamare il voto su delle cose e delle idee, anziché su sigle e nomi. Così prese corpo l’insanabile contraddizione: da una parte sembra che tutti detestino le gestioni e le nomine politiche, dall’altra si volle che l’acqua restasse nelle mani della politica e dei suoi nominati. Ora seguitemi, perché quel che accade sia, almeno, istruttivo.

Le società variamente pubbliche che, in Italia, gestiscono l’acqua sono 1.600. Uno sproposito. Un’enormità. Uno spreco. Si dovrebbe chiuderle quasi tutte. Di queste 350 hanno ottenuto l’aumento delle tariffe: +3,9% nel 2014 e + 4,8 nel 2015. Così l’inflazione non la crea la crescita della ricchezza, ma la sua decrescita a favore delle tariffe amministrate. Le 350 che faranno crescere la bolletta, con un maggiore esborso medio di 130 euro annui a famiglia, sono le più grosse, quindi quelle che servono il maggior numero di clienti. La domanda è: le altre 1.250 società hanno rinunciato all’aumento? No, è che non hanno neanche presentato i dati minimi di bilancio. Non si sa quanto investono, quindi non si può disporre l’aumento delle tariffe. 1.250 società, variamente pubbliche, non hanno compiuto adempimenti elementari che, se si trattasse di privati, in ogni altro settore, provocherebbero l’arrivo della Guardia di Finanza.

Torniamo alle 350: perché chiedono un amento? Perché dicono di dovere fare investimenti nella rete. Dicono, cioè, esattamente quel che scrissi all’epoca del referendum: mentre l’impresa privata, che giustamente mira al profitto, fa investimenti per aumentare la redditività della rete, quella pubblica i soldi degli investimenti li chiederà ai cittadini. Eccoci, appunto. Mentre nel concedere a privati la gestione della rete di distribuzione si deve stabilire, in partenza, quali saranno gli investimenti che sono tenuti a fare e quale sarà il quadro tariffario in cui dovranno muoversi, quando si passa alle società pubbliche la musica cambia, perché sono amministrate dai compagnucci degli amministratori politici, quindi se hanno bisogno di soldi chiedono che siano presi dalle tasche dei clienti. Se, come è successo a Torino, i clienti si mettono a risparmiare, consumando meno acqua, scatta l’applicazione del minimo, sicché tocca che paghino anche quella che non scialacquarono.

All’Autorità per l’energia, il gas e l’acqua (basta, per prendere decisioni di questo tipo possiamo pagare al massimo un robot) dicono: era necessario aumentare le tariffe, perché sono decenni che non s’investe nelle reti. Bravi, ma perché questo non lo si disse agli elettori, nel 2011? Era chiaro che così sarebbe andata a finire. Tanto chiaro che lo scrivemmo.

Tutta questa gnagnerra dei “beni comuni” e delle cose che devono restare in mano al pubblico, quindi in mano alla politica e ai partiti, perché così si evita l’avidità dei privati, serve solo a far da alibi all’insaziabile bisogno della macchina pubblica di ciucciar via quattrini dalle tasche dei cittadini. Che, in questo caso, sebbene raggirati, se la sono anche cercata. Non potendo tornare indietro (non prima del 2016) almeno si proceda al disboscamento delle società, alla loro chiusura, e alla stipula di convenzioni che obblighino agli investimenti, pena la perseguibilità degli amministratori. Sarebbe già qualche cosa.

Pubblicato da Libero

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