Una mozione della maggioranza, al Consiglio Comunale di Bologna, chiede di eliminare l’aggettivo “fascista” dalla lapide che ricorda la strage alla stazione. Era il 2 agosto 1980. Si legge che i familiari delle vittime abbiano sentito tale proposta come un insulto.
La categoria “familare della vittima” non ci piace, e continuiamo a credere che non abbia valore politico un lutto privato. La strage, invece, non è affatto un lutto privato, ma un atto criminale e politico.
A ventuno anni di distanza, però, ci troviamo con una sentenza passata in giudicato, sentenza che individua in Fioravanti e Mambro i soggetti che depositarono la bomba. I due sono criminali ed assassini fascisti, pertanto l’aggettivo si giustificherebbe e non andrebbe tolto. Purtroppo, però, è assai probabile (personalmente tenderei a dire che è certo) che quella sentenza condanna persone che non sono responsabili di quel crimine e, conseguentemente, dopo ventuno anni, non sappiamo affatto chi mise la bomba.
Se “fascista” è il marchio di una certezza circa i mandanti ed i fini, allora si tratta di una certezza assai mal riposta. C’è un fatto formale, la sentenza, e c’è un fatto sostanziale, la convinzione che sia errata. La giustizia dei tribunali si accontenta della forma, la storia della forma se ne frega. Se c’è una cosa per la quale vale la pena indignarsi non è la presenza o la rimozione dell’aggettivo, bensì la nebbia fitta che avvolge la strage agostana.