Politica

Agire o reagire

Le cose che qui sostenevamo, eretici, sono divenute un ritornello, cantato da molti. Ci capita, allora, di trovare idee solitarie sulla bocca di molti, con l’imbarazzo di non riconoscerle o vederle storpiate. La cosa accade su due fronti: dopo le regionali è tutto un ripetere che adesso si devono fare le riforme di struttura, e financo il Fondo Monetario Internazionale esprime, sulla politica economica del governo italiano, un giudizio positivo, largamente simile a quello da noi ripetutamente scritto. Piuttosto che festeggiare, meglio puntualizzare.

Le riforme, dalla giustizia al fisco, non c’entrano nulla con le elezioni regionali. Si sarebbero potute e si sarebbero dovute fare prima. E’ cambiato, però, il quadro politico, in modo rilevante: mentre prima c’era chi faceva a gara nell’indebolire il governo, anche incrinando la solida maggioranza parlamentare, ora che gli elettori hanno riconfermato il loro orientamento quel lavoro di logoramento è più difficile. Meglio. Perché i voti non restino schede morte, però, è necessario che sia la maggioranza stessa, o direttamente il governo, a prendere l’iniziativa riformista. E perché l’opposizione non si trasformi nel cimitero dei presuntuosi, è necessario che su ciascun tema si accetti il confronto fra idee, abbandonando l’insana velleità di bollare come improponibile tutto quello che gli elettori gradiscono.

Sul terreno economico, in particolare, è gradevole che un’autorità internazionale elogi la gestione governativa della crisi, mettendo in evidenza che non sono stati buttati soldi, come altrove, in costosi, ma fiacchi stimoli fiscali. Così com’è importante che si ribadisca la necessità e l’urgenza di riforme relative alla pressione fiscale ed alla previdenza, con esplicito riferimento all’età pensionabile. E noi tiriamo un sospiro di sollievo, quando Giulio Tremonti dice di accettare la sfida e di avere già in cantiere quei cambiamenti, perché fin qui, per la verità, c’era stato risposto che di riforme non si parla, nel corso di una crisi (la quale, sia detto per inciso, scodella oggi i suoi frutti avvelenati, sia in termini di disoccupazione che di tenuta delle aziende, proprio quando i segnali di ripresa, sia pur timidi, si scorgono all’orizzonte).

Cercando di passare dagli auspici alla sostanza, però, si tratta di trovare il filo conduttore, l’indirizzo logico da seguire. In cima c’è il contesto istituzionale. Non ho alcuna passione per la materia federalista, anche perché si tratta, nella storia, di uno strumento usato per unire, non per dividere. Sta di fatto, però, che il federalismo istituzionale è un cavallo di battaglia del centro destra, oltre che una (sciagurata) riforma costituzionale già fatta, nel 2001, dal centro sinistra. E sta di fatto che abbiamo già il federalismo della spesa, con costi pazzeschi e controlli farseschi, ma non abbiamo il federalismo fiscale. Si proceda, allora. Ma non potremo mai farlo, senza sfasciare lo Stato, se non rafforzando considerevolmente il governo centrale, il che si ottiene uscendo dal parlamentarismo fin qui sperimentato, così come anche con la Repubblica presidenziale. Le due cose vanno assieme, e la sinistra che ha fatto (la storia la fulmini) il primo pezzo di strada, come può sottrarsi al secondo?

Questo introduce il tema della riforma fiscale, portando il dovere dell’incasso nelle stesse mani che praticano il piacere della spesa. Quando i conti non quadrano le giunte vanno a casa, perché amministrano enti territoriali, mica Stati autonomi. Ieri Giampaolo Pansa osservava, assai opportunamente, che su quella strada la maggioranza incontrerà il favore dei governatori di sinistra, che amministrano regioni importanti del centro nord. Aggiungo, da terrone, che è anche un’opportunità per le regioni del sud. Qui, però, lo Stato non può venire meno ad un proprio, imprescindibile dovere: assicurare il rispetto della legge e la punizione dei criminali. Giacché, in caso contrario, non solo la situazione diventerebbe ingestibile, non solo la secessione minacciata dal nord ce la ritroveremmo al sud, perché la contrazione della spesa clientelare porterà a perdita di consenso, ma abbandoremmo un pezzo d’Italia agli squadroni della morte e ai narcos. Meglio evitare, forse. Anche perché l’attuale maggioranza è tale grazie al consenso del sud, mentre al nord si travasano voti all’interno della coalizione.

Se si ragiona in questo quadro, è bene non perdere un solo minuto e porre subito le questioni in discussione. Se non lo si fa, da qui a un paio di mesi, riprenderà il ritmo ripetitivo della demolizione, cullata nei calori romani e accudita negli ozi e nei vizi. Le urne regionali c’entrano poco, con tali questioni, ma sono state il regolamento dei conti elettorali. Si regolino, a ruota, gli altri conti, o, presto, ci si troverà con le ruote impantanate e ferme. Si prenda di petto l’iter riformista anche se questo dovesse comportare delle rotture, perché quelle sarebbero spiegabili e risulterebbero comprensibili, per i cittadini, mentre l’inconcludenza no.

Condividi questo articolo