Politica

Al vertice

All’odierno vertice di maggioranza dovrebbero tenere presenti più le buone notizie che le solite beghe, occuparsi più del mondo che galoppa che non della politica intenta a cincischiare. La ripresa economica c’è, è forte, si manifesta in modo vivace. Non ha la dirompenza della recente recessione, non si traduce automaticamente in riassorbimento della disoccupazione, ma la sua esistenza è innegabile. C’è chi ha dedicato pagine infinite a economisti capaci di prevedere il contrario, e c’è da sperare che oggi non si dispiacciano d’avere sbagliato. Ma la ripresa non risolve i problemi del governo, anzi: rende ancora più evidenti i problemi creati dalla stagnazione politica.
I dati ufficiali segnalano che l’Italia si sviluppa meno degli altri Paesi europei, per non parlare degli Stati Uniti. Ma se guardassimo dentro a quei dati, se disponessimo di analisi disaggregate sullo sviluppo nelle singole zone d’Italia, considerato che Grecia e Spagna sono ancora in recessione, scopriremmo, probabilmente, che una parte del Paese si sviluppa nella migliore media europea, o poco sotto quella, mentre un’altra parte, quella meridionale, ha ancora dati negativi, al netto della tradizionale maggiore quota di mercato sommerso, quando non direttamente criminale. Questo è un problema politico, mica da contabili o economisti. A fronte di ciò, invece, il vertice avrà come piatto forte il modo per affrontare i rapporti con quel pezzo della maggioranza che ha deciso di andare per i fatti propri.
Devo confessare che l’intera partita sta diventando stucchevole, a tratti anche fastidiosa. Non si regge né la finzione che i taralli di Gianfranco Fini siano stati tutti scoperti solo all’indomani della rottura con Silvio Berlusconi, né la finzione ipocrita di parlamentari eletti sotto al simbolo “Berlusconi presidente” che dicono di riconoscersi nel programma di governo nel mentre è solare che lo voglio fare a pezzi. Non si reggono quelli che scoprono solo adesso l’attitudine elastica e mutevole, stile pongo, delle convinzioni di Fini, né quelli che ritengono sia giunto il momento di denunciare che Berlusconi è anche peggio di come lo hanno fin qui descritto quelli dell’Espresso o del Fatto Quotidiano. Diciamo che si dovrebbe porre un limite antitrust alla falsità. Tutto questo, però, è solo il contorno, sgradevole, del problema principale: se non si trova il modo per sbloccare la situazione si condanna l’Italia a marcire in acque stagnanti.
Prendiamo, ad esempio, il tema principale di tante polemiche e contrapposizioni, presente anche nella rottura interna alla maggioranza: la giustizia. La nostra fa così schifo che ci vuole poco per ottenere grandi risultati. E’ così intollerabilmente lenta che ci vuol poco per raddoppiarne la produttività. Dentro il sistema della giustizia ci sono moltissimi magistrati che sanno fare il loro mestiere e che potrebbero essere un buon esempio per i colleghi più giovani, se non fosse che, grazie alla malagiustizia e alla politicizzazione del Csm, fanno carriera i più esposti ed esibizionisti, rappresentando non solo un pessimo esempio, ma una falla dalla quale la giustizia sta imbarcando un mare d’ignoranti, incapaci e profittatori. A questo s’aggiunga che, in tempi di vacche magre, spendiamo una marea di quattrini per non far funzionare la giustizia, al punto che è ragionevole sostenere che, per invertire l’andazzo, è meglio largheggiare meno, come s’è cominciato a fare. Posto che il tempo lavora contro l’interesse collettivo, ci vorrebbe poco per varare norme semplici, inerenti al rispetto obbligatorio dei tempi e alla promozione dei più solerti e attenti. Ma non ci si riuscirà, perché perderemo ancora mesi a parlare dell’uso politico delle inchieste giudiziarie, umiliando sia la politica che la giustizia (che è cosa diversa dalle inchieste, anche se, oramai, sono pochi a ricordarsene). Su ciò il vertice odierno dovrebbe essere chiaro e netto: se si tratta di prendersi in giro, fissando obiettivi limitati e su quelli ricompattando al massimo la mutilata maggioranza, il gioco non vale la candela. Anche perché c’è il rischio di ritrovarsela in posti scomodi.
Se i partecipanti al vertice avranno la testa in Italia, e non a Monaco, se a giocare saranno i titolari, e non i cognati (o aspiranti tali), avranno l’accortezza di tradurre le difficoltà contingenti in riflessioni istituzionali, mettendo sul tavolo la necessità di riforme strutturali, anche costituzionali. Non serve a nulla ricompattare la maggioranza, per giunta su questioni altisonanti, ma con obiettivi limitati, perché quello che s’incolla al mattino sarà sfasciato già alla sera, si dovrebbe, piuttosto, rilanciare sul programma, aumentare la posta: proprio perché ci sono dei problemi non è il caso d’accontentarsi, ma di stabilire che se non si riescono a fare cose veramente importanti meglio restituire la parola agli italiani. Certo, non sarà così semplice. Già in molti sono pronti a usare le debolezze del centro destra per far finta d’avere forza. Ma la cosa peggiore è accettare il galleggiamento, l’equivoco, il tirare a campare.
La politica non è il gioco di pochi, che i più osservano nel mentre mettono in mostra le proprie virtù d’imbonitori o profittatori. La politica consiste nell’interpretare il bene collettivo, usando le forze disponibili per perseguirlo. Dalla giustizia all’economia una cosa è certa: altri anni come quelli che abbiamo alle spalle, altro tempo in cui il più grande successo consiste nel non avere fatto (e nel non avere speso) e l’unica cosa che ci garantiremo sarà il declassamento. Ci sono le ragioni e le forze perché le cose vadano diversamente, tocca alla politica dare loro un senso.

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