Politica

Amara bicamerale

I settanta bicameralisti ce l’hanno messa tutta, per rendere più facile il lavoro dei loro critici. Si lascino pur perdere i professori, tanto più che si trova sempre un cattedratico disposto a sostenere qualsiasi tesi. Il punto è tutto politico.

Su tutti i più importanti temi, dall’assetto istituzionale alla legge elettorale (con il relativo ordine del giorno), dalle questioni della giustizia al federalismo, i compromessi raggiunti lasciano l’amaro in bocca. Non perché siano compromessi. La democrazia è l’arte del compromesso, il compromesso è l’anima della civile convivenza. Ma, quelli che abbiamo di fronte, sono quasi tutti compromessi statici, che prendono un po’ di qua ed un po’ di là, che danno un colpo al cerchio ed uno alla botte. Non abbiamo a che fare con compromessi dinamici che, date due, o più, posizioni diverse, ne mettono a punto una terza, nuova, coerente con il resto dell’architettura costituzionale.

E’ questo il motivo pratico per cui i settanta sono stati generosi con i loro critici. Ma c’è una cosa alla quale è bene prestare attenzione : i critici sono ovunque, sembra che non ci sia nessuno, a parte i diretti protagonisti della Bicamerale, a non essere critico. E’ un coretto di critici. Ed i coretti non mi piacciono, nascondo sempre qualche cosa di non commendevole. Per questo credo sia giusto, dalle colonne di questo giornale che, anche a firma del suo direttore, ha avanzato critiche fondate e documentate, sottolineare tanta sospetta unanimità.

Domandiamoci : a chi giova il sostenere che i lavori della Bicamerale sono naufragati in un accordo di facciata che, nella sostanza, sarà impraticabile e che, dunque, è destinato ad infrangersi negli scogli dell’iter parlamentare? Non giova a D’Alema, non giova a Berlusconi, non giova ai tre più grossi partiti italiani. Giova, invece, a chi in Bicamerale non ha messo piede e che, dall’esito non entusiasmante dei suoi lavori trae nuova linfa vitale : giova a Romano Prodi.

Mentre i settanta disputavano di presidenzialismo e doppioturnismo, finendo con il non varare né l’uno né l’altro (in modo coerente, intendo), il buon Prodi, ex presidente dell’Iri, assistito dal buon Micheli, ex direttore generale dell’Iri, hanno colonizzato il colonizzabile : si sono pappati l’Iri ed hanno allungato le mani sul tutto il boiardismo statale. Una vicenda colossale, che è passata quasi sotto silenzio.

Ma sì, diciamolo, la libera stampa ha solo fatto finta di storcere la bocca per la nomismizzazione dell’Iri, quasi fosse solo una questione di stile, ma, poi, la cosa è passata liscia come l’olio. Si tratta, però, di una questione fondamentale. Abbiamo assistito all’atto di nascita di un blocco di potere che non ha precedenti nella vita democratica italiana e che, quindi, è destinato a condizionarla pesantemente. E’ chiaro, questo?

E mentre il Prodi presidente dell’Iri doveva rispondere alla politica di Ciriaco De Mita, che colà lo aveva messo, e De Mita, a sua volta, doveva rispondere al corpaccione della Democrazia Cristiana, che, sia pure partito di maggioranza relativa, doveva vedersela con gli altri partiti delle coalizioni di governo e, in modo particolare, con il Partito Socialista, il Prodi di adesso sembra doversela vedere solo con sé stesso ed alcuni amici. Qualcuno dirà : finalmente, così è finita la lottizzazione. Si, ed è iniziato il latifondismo. Bella conquista.

Ed allora, docenti e non docenti, mentre intonano felici il coretto antibicameralistico, facciano attenzione a quel che accade fuori dal teatro : si rafforza un blocco di potere che, per giunta, raccoglie una infima minoranza del voto degli italiani.

Si può osservare che, questa, è la sconfitta di D’Alema, il quale ha creato un mostro che, poi, non ha saputo gestire e domare. Le cose, magari, possono pure essere raccontate così, ma non per questo divengono meno brutte e meno pericolose.

Se ciò capita, sia chiaro, lo si deve anche al fatto che Romano Prodi è bravo. Davvero bravo. In troppi lo hanno sottovalutato. Detto questo, però, non vedo perché si debba assistere silenti ad un processo degenerativo che approfitta della crisi della politica e dei partiti per procedere all’occupazione di tutto l’occupabile. Che mira a trasformare il nostro mercato politico ed il nostro mercato economico in un gigantesco pomodoro pelato.

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