Politica

Amato, non troppo

Giuliano Amato è ben lungi dall’essere il migliore presidente della Repubblica pensabile, ma è il migliore possibile. Nella modalità con cui può essere scelto Amato rientra anche un secondo nome: Massimo D’Alema. Quest’ultimo con due maggiori pregi e due maggiori difetti: è una scelta politica più netta e compatta meglio il gruppo del Partito democratico; ma è anche il secondo comunista consecutivo al Quirinale e un leader che non è stato capace di trovare lucidità e coraggio per rileggere la storia politica propria e dei compagni. Fuori da questi due nomi, nel mondo del possibile, si degrada verso l’amorfo, per poi sfociare, dopo la terza votazione, nell’avventura. Forse nella tragedia.

Nel dipanarsi della partita quirinalizia vedo scarsissima considerazione della Costituzione vigente, a cominciare dai sondaggi di popolarità relativi ai vari candidati, che ne sono l’antitesi, e quasi assente consapevolezza della condizione in cui si trova l’Italia. Che corre il pericolo della disgregazione, agevolata dal non potere usare il collante della spesa pubblica, e incrudelita dall’impoverimento del sistema produttivo e della borghesia. Si tratta di una miscela di cui non mi pare si apprezzi appieno la velenosità.

Su Pierluigi Bersani ricade la responsabilità di avere impedito la formazione di un governo, nell’attesa e nell’illusione che il nuovo inquilino del Colle possa rimetterlo in pista. Tempo devastato e ragionamento capovolto, dato che doveva essere la possibile maggioranza di governo a esprimere il presidente, non l’inverso. Ma altri non commettano l’errore eguale e contrario: i sondaggi danno il centro destra in vantaggio, ma non solo si tratta di una gara fra perdenti, resta comunque il fatto che all’indomani di nuove (e probabili) elezioni si dovrebbe comunque lavorare a una coalizione fra diversi. Tutti ripetono: un’alleanza di quel tipo consegna a Grillo un vantaggio enorme. E’ vero l’opposto: il perpetuarsi dell’inconcludenza consegna l’Italia alle sue inutili convulsioni.

Il nome di Amato fa venire l’orticaria a moltissimi. C’è chi ne ricorda il tradimento di Bettino Craxi, chi il prelievo forzoso dai conti correnti, chi la recente proposta di una patrimoniale. Tutto vero, assieme ad altro. Ma nella vita non si sceglie fra il bene e il male, bensì fra il meglio e il peggio. Se salta Amato è complicato che ci si fermi a un Franco Marini (ed è poi migliore? Al Colle serve un sindacalista?), semplicemente si andrà allo sbaraglio della maggioranza assoluta, con non pochi forsennati che invocheranno il presidente di sinistra con il quale si distruggerà la sinistra. Da lì in poi basta un fiato per ritrovarsi un Romano Prodi o uno Stefano Rodotà. La sinistra senza cervello e senza morale si metterebbe al guinzaglio dell’opaco e inquietante mondo grillino, pronto a rimestare nei bassi istinti del qualunquismo antistatale e antidemocratico (chi voglia averne contezza osservi la farsa della falsa democrazia on line, e rabbrividisca, se ancora gli resta spina dorsale).

No, Amato non è il presidente ideale. Il mio presidente ideale, però, non ha la maggioranza. Non è fra le cose possibili. Mentre fra le cose probabili vedo tanti omuncoli miseri, che puntano ad avere ancora un’arma di ricatto, una cosa da trattare, un utile da ciucciare. Omuncoli che si son promessi in cambio di promesse. Minuscoli che si sentono grandi impedendo il necessario. A sinistra e a destra. Associati alla legione dei vili, che si dispiegherà nel voto segreto. Ottusi tanto da non vedere in quale punto si trovano, ovvero già oltre il ciglio. Il loro gretto egoismo consegna l’Italia al caos del “si salvi chi può”. Dopo di che passeremo nel frullatore del nuovismo senza idee e irresponsabile. E’ facile accarezzare i riti del rifiuto e prendere l’applauso dell’invettiva. Ma il raziocinio e l’interesse collettivo non dovrebbero consentirlo. Oggi si apre una partita che deve chiudersi in fretta. Altrimenti sarà persa. Non da una parte, ma dall’Italia.

Pubbliocato da Libero

Condividi questo articolo