Politica

Annali della vergogna

Il conflitto d’interessi deve essere risolto, lo dico per ragioni culturali. Se uno studioso pubblica un ponderato saggio, ricco di riferimenti documentali di analisi disincantate, discostandosi dai luoghi comuni e disvelando i contorni di una storia, e lo fa seguendo una traccia culturale diversa da quella che ispira il suo editore, alla fine ci guadagnano in due: lo studioso e l’editore.

Se, invece, per dimostrare pluralismo, un editore impegnato in politica finisce con il pubblicare pagine buttate giù sciattamente, prive di fondamento reale, conformistiche in modo imbarazzante, infarcite di pecionate propagandistiche, ma che hanno il solo pregio di muoversi in direzione opposta alle tesi esposte dall’editore, allora è chiaro che ci si trova di fronte ad un inutile attentato alle foreste amazzoniche.

Questo, purtroppo, è quel che capita all’editore Einaudi, che pubblica una cosa (come definirla?) di Giovanni Bianconi su “Tangentopoli in Parlamento”. Sarebbe, in ipotesi, una collana storica, giunta al diciassettesimo volume degli Annali, dedicato al Parlamento. Vi si trovano cose pregevoli, come la riflessione di Stefano Folli sulla stampa parlamentare, ma vi si trovano anche cose orribili, come, appunto, quella di Bianconi. Il fatto che si pretenda di fare storia, naturalmente, è un’aggravante. Anche se non è facile aggravare queste pagine grottesche.

Come si fa? Come si fa ad affidare a tanta propagandistica sciatteria un passaggio fondamentale e decisivo della vita parlamentare? Una stagione che ha cambiato la composizione del Parlamento, il suo sistema elettorale, le sue garanzie interne, il sistema politico tutto. Eppure lo si racconta con apodittica superficialità. Prendiamo alcuni esempi.

Partendo dall’assunto che il Parlamento eletto nel 1992 non vi era “maggior concentrazione di corrotti o corruttori rispetto al passato” (e dal che si deduce che, a detta dell’incauto autore, tali categorie criminali siano di per se stesse descrittive della composizione parlamentare), si spiega quel che successe poi con il fatto che “con l’arresto di Chiesa è saltato il ‘tappo’ che fino a quel momento aveva bloccato le inchieste giudiziarie”.

Tesi interessante, se non fosse che, in sede di studio storico, il nostro malcapitato studioso non ci dice più una sola parola interessante sul “tappo”. Ma di che tappo parla?

Secondo esempio. Craxi diventa presto oggetto delle attenzioni giudiziarie (si parlò di caccia al cinghialone, anche se il nostro storico non cita questa pagina faunistica) e cerca di difendersi. Ma la sua autodifesa diventa, per Bianconi, una “campagna”. Ma non basta, egli afferma che la tesi sostenuta da Craxi era (virgolette sue): “tutti colpevoli, nessun colpevole”. Ora, purtroppo per Bianconi, non solo Craxi non pronunciò mai quella frase, non solo non la sottintese mai, ma non vi è oggi persona seria che non riconosca l’importanza di quel che Craxi disse in Parlamento e che aveva un senso del tutto diverso: attenti a non trasformare la storia politica in storia criminale che in quanto tale coinvolgerebbe tutti. E’ chiaro che, su quel passaggio della nostra storia recente, si possono avere diversi giudizi (e personalmente sono sempre stato convinto che Craxi sbagliò non a difendersi, ma a negare legittimità all’intervento della magistratura), ma ciò non significa che si sia liberi di cambiare la posizione degli altri in modo da far tornare meglio i propri conti campati in aria.

Ed a proposito di conti, il presunto storico fa un guazzabuglio di cifre e statistiche imbarazzante, nel tentativo di nascondere la chiara evidenza dei fatti: quelle inchieste individuarono molti colpevoli, ma misero in ceppi moltissimi innocenti. Questa non è la mia opinione, ma il risultato dei dibattimenti processuali. Che però spariscono dal tavolo affollato di questo studioso domenicale.

Per non parlare dello sciacallaggio sulla salma di Sergio Moroni, che scrisse una nobilissima (e qui censurata) pagina e che si vorrebbe far passare quasi come uno disposto ad accettare l’incriminazione. Questo in modo da mettere in cattiva luce Craxi che “nonostante ciò”, cioè nonostante le rassicurazioni che gli avvocati avevano dato a Moroni, disse, sul cadavere caldo “hanno creato un clima infame”. Ma se la ricostruzione di Bianconi avesse un benché minimo fondamento, Moroni cos’era, uno squilibrato?

Bella l’idea che “Balzamo muore in seguito a un intervento cardiaco”. Colpa dei medici, suppongo. Straordinaria trovata da avanspettacolo quella di volere far fare a Sbardella, che fu solidale con Craxi, la parte di quello che prima di morire si convinse a collaborare con la sana giustizia amministrata dai magistrati che lo squalo ammirava. Bianconi è un Macario mancato.

Non ci credete? Pensate che, a proposito del decreto Conso, il nostro storico senza pezze d’appoggio si trasforma in un cartomante ed afferma che “al Quirinale ci sono molte perplessità”. Così stanno le cose? E su quali documenti si regge quest’intuizione? Perché a noi sembra di ricordare che quel decreto (come non poteva essere diversamente) era stato concordato con il Quirinale, ma che il Presidente indietreggiò dopo il pronunciamento milanese.

Vabbé, basta. Pagine da dimenticare. Peccato, perché quegli anni devono ancora essere chiariti e digeriti, ed è questa l’indispensabile premessa per non trascinarci dietro la malattia infettiva della memoria inquinata. Il libro di Barbara Spinelli è in tal senso utile, questa roba no.

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