Politica

Appelli e resistenza

Gli appelli sono come le ciliegie: uno tira l’altro. Maurizio Belpietro ha, ieri, preso di mira quello relativo alla libertà di stampa, che si pretende minacciata per il fatto che il presidente del Consiglio si è rivolto a dei giudici. A me sembra un errore politico, e la premessa di cause perse, ma che altro suggeriscono a chi, in

uno Stato di diritto, si sente offeso e danneggiato? All’Unità, poi, hanno imboccato la via del delirio, parlando di fascismo. Posto che un ex direttore dell’Unità, divenuto presidente del Consiglio, querelò dei giornalisti, immagino che anche quelli che s’offendono se ricordi loro che sono stati comunisti sappiano che il quotidiano rosso, come tutti gli altri, campa grazie ai contributi pubblici. Altro che manganello, qui si dispensa il borsello.
Non si è fatto in tempo, comunque, a replicare ad un appello che già ne avevano scritto un altro, questa volta a firma di sedici economisti (non ne hanno trovato un altro, o sono superstiziosi?). Fanno tenerezza. Si lamentano, i dotti, perché Tremonti li ha definiti maghi e stregoni, sostanzialmente incapaci di prevedere la crisi. S’adontano, i pensosi, annunciando l’intenzione di non tacere. Ora, a parte la gaia furfanteria di dirsi minacciati nel diritto di parola avendo accesso alla prima pagina dei due quotidiani più diffusi, questi cattedratici dovrebbero far la cortesia di non prendersi così tanto sul serio.
In fondo, sarebbe stato più utile ricordare che vi sono economisti (sebbene non i firmatari) dimostratisi capaci di prevedere, eccome. Certo, non il tempo esatto, ma quello è mestiere della politica. E sarebbe stato più ficcante e spiritoso ricordare al ministro dell’economia che egli stesso s’era proposto, novello Robin Hood, di dare una spazzolata ruvida ai troppi profitti delle banche, che pochi giorni dopo si sono volatilizzati. Aveva rimproverato (giustamente) quelle italiane di non saper parlare l’inglese, salvo il fatto che proprio il non partecipare della diffusa euforia finanziaria le ha messe al riparo dal peggio. Che aveva caldeggiato la detassazione degli straordinari, alla vigilia del crollo della domanda. O che aveva visto nella Cina una minaccia per quello stesso mondo che, ora, dà segnali di ripresa anche grazie alla crescita dell’economia con gli occhi a mandorla. Insomma, potevano mandargli la tessera onoraria del club dello stregone, o consolarsi con il mal comune mezzo gaudio, invece hanno compitato una piagnucolosa missiva ed invitato alla mobilitazione per la loro libertà.
E cercando d’essere più leggeri e spiritosi con gli altri avrebbero trovato, magari, anche la lucidità per sorridere di se stessi. Induce all’allegria, difatti, vedere che oggi propone la diminuzione delle tasse chi, fino a ieri mattina, si mostrava corrucciato per il debito pubblico, al punto da portare il proprio documentato appoggio a quel ministro professore che proclamava fosse “bellissimo” pagare tasse sempre più alte. Una goduria, insomma, che averebbe fatto correre un brivido lungo la schiena del marchese De Sade. Sono colti, perciò, ma sovente di sorpresa. Per non dire di quanti hanno ripetuto per una vita che la macchina statale era un burocratico malore, salvo poi, quando qualcuno la prende di petto, commuoversi per la sorte di qualche impiegato che non riesce a far carriera negli ultimi tre mesi d’attività, in modo da lucrare una pensione più alta, o per la triste condizione di chi, a dispetto dei progressi della medicina, continua ad ammalarsi troppo di frequente, specie a ridosso dei fine settimana e delle feste comandate.
Molte di queste alte coscienze, di queste sensibili culture, albergano in uomini che sono, al tempo stesso, di pensiero e d’azione, salvo non riuscire sempre a rendere il primo coerente con la seconda. E viceversa, che non cambia.
Forse non è questo il giorno adatto per richiamarli alla misura, che li immagino condolenti con quel mal capitato che denuncia la distruzione della famiglia (non essendo del tutto chiaro se si riferisce alla propria o a quella che molestò). Oh, questo sta diventando un Paese triste assai. Pochi si occupano di cose serie, i più corrono appresso a gonne, gonnelloni e pantaloni, pretendendo di passare per eroi della resistenza. Ecco, quella comincia a mancarmi: la resistenza al ridicolo.

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