Rimproverare a Comunione e Liberazione, e al suo Metting di Rimini, gli applausi ai potenti, come ha fatto Famiglia Cristiana, non ha molto senso. E’ sempre stata una passerella di prestigio e, del resto, ospitare i potenti è già un onorarli. Il mondo cattolico, nelle sue incarnazioni editoriali e politiche, è tradizionalmente articolato e differenziato, ma questa critica pecca un po’ troppo di faziosità. Ciò non toglie nulla, però, al fatto che coglie un aspetto reale: oltre agli applausi, alla potenza organizzativa e al prestigio dei coinvolgimenti, ho l’impressione che risulti debole il messaggio degli organizzatori.
Il mondo di Comunione e Liberazione, in passato anticipatore d’importanti fremiti sociali, appare in un ritardo che non si recupera certo essendo scortesi con gli ospiti, ma che fa cambiare significato agli applausi acritici.
Accorgersi oggi che la seconda Repubblica è fallimentare equivale a prevedere la pioggia dopo essersi bagnati. I germi di quella crisi erano presenti ed evidenti fin dall’inizio, tant’è che a noi è capitato d’individuarli e descriverli. Il falso bipolarismo, però, è stato uno degli elementi che ha reso forte la proiezione politica di un movimento come Cl, sicché oggi la condanna ha poco significato, se non accompagnata da adeguata riflessione autocritica. Il più autorevole degli eletti, fra i provenienti da quel movimento, è Roberto Formigoni, che oggi vive un momento non fra i più felici. E’ encomiabile che i ciellini abbiano voluto ribadire di sentirsi vicini a quanti sono in difficoltà, solo che sarebbe puerile sperare di nascondere che, in realtà, sono vicini a sé stessi. Quel problema non può essere scantonato attendendo l’esito delle inchieste penali, perché non si sfugge all’urgenza del giudizio politico. Le contestazioni, infatti, si riferiscono a un presunto sistema di potere, di cui il governatore lombardo sarebbe stato l’apice, mentre il resto della costruzione è intrisa di presenze cielline. A fronte di ciò, allora, urge stabilire se quelli del movimento ritengono i coinvolti al pari di peccatori e pecorelle smarrite o se, al contrario, condividono il loro giudizio sull’origine politica delle inchieste. Nel primo caso devono prendere atto del proprio fallimento, collettivo. Nel secondo non possono limitarsi a non rinnegare, avendo il dovere di solidarizzare e parteggiare. E’ mancata loro la chiarezza della risposta. O il coraggio di darla.
Così come sono rimasti prigionieri del miraggio tecnocratico, supponendo esistenti ricette buone per uscire dalla crisi, a prescindere dagli interessi che in quel processo si favoriscono, o penalizzano. Mario Monti e Corrado Passera hanno raccolto molti applausi comunicando che la luce è vicina e la crisi in gran parte alle spalle. Un movimento immerso nella realtà avrebbe dovuto chiedere: su quali dati fondate tale previsione? Sarebbe bello voi aveste ragione, siamo pronti non solo a plaudire, ma a contribuire, perché ciò accada, ma, al momento, ci apprestiamo ad un autunno che sarà duro, a un anno che si chiuderà in netta recessione e a un nuovo anno che fermerà la caduta, ma non inizierà la risalita. Nulla di men che cortese, per carità, ma almeno avrebbero dato l’impressione di volere capire e non solo assorbire messaggi che, messi così, hanno il sapore della propaganda.
Senza dimenticare che Monti ha detto che le tasse dovrebbero calare, ma non lo faranno, almeno per ora, e Passera s’è fermato alla prima parte, ben sapendo che è vera la seconda. Ebbene: il fisco non è amorfo ed equanime, perché una cosa è tassare i redditi altra i patrimoni; una cosa fronteggiare il debito facendo appello ai patrimoni privati, altra dismettere parte di quello pubblico. Insomma, il caleidoscopio delle scelte politiche è molto frammentato e colorito, sicché non è giustificabile limitarsi ad applaudire senza volere concorrere alla scelta.
Un tempo Cl era forza capace d’indirizzare le scelte della Democrazia cristiana, partito cattolico attorno al quale ruotavano i governi. Poi, con la seconda Repubblica, ha esercitato in proprio sia la rappresentanza che il potere, crescendo fino al punto d’immaginare una possibile egemonia, non solo culturale, sull’area di riferimento. Oggi a cosa punta? Perché se non ci si assegna delle mete, se non si elaborano contenuti riconoscibili, se non si esercita la dialettica con chi ha il potere nelle mani, si consegna l’impressione che il primo obiettivo sia sopravvivere, presidiare gli spazi conquistati. L’impressione che la macchina abbia preso il sopravvento sull’equipaggio. Che non è solo una brutta cosa, ma anche una pessima illusione, perché il necessario (e a mio avviso anche positivo e auspicabile) contrarsi della spesa pubblica comporta una rielaborazione del ruolo. Che fin qui non si è vista.
Non è, però, un problema solo di Cl, non prende corpo solo a Rimini. E’ il dramma di una classe dirigente disorientata, che si vede, sente e constata potente. Ma anche confusa, sbalordita. Forse anche impaurita.