Politica

Aria di tempesta

Il cielo si fa scuro e non è detto sia un temporale primaverile, potrebbe essere una tempesta giudiziaria. Previsioni del genere è preferibile sbagliarle, ma la cosa peggiore è ignorarle. Meglio prepararsi, quindi mettere le cose in chiaro fin da subito: la giustizia è ridotta in stato pietoso, il che favorisce politicizzazioni e strumentalizzazioni, ciò, però, non autorizza a parlare di complotti ogni volta che si apre un’inchiesta, né a negarne l’esistenza per il puro gusto di assistere al massacro, e non può essere un alibi per ignorare che di marcio ce n’è tanto. Non in Danimarca, qui sotto casa.

Il passato non si ripete uguale, perché ne mancano tutte le condizioni. L’esibizionismo di tanti procuratori non compone il disegno politico che animò la procura di Milano, ai tempi di Tangentopoli. Un Antonio Di Pietro e un Luigi De Magistris possono anche militare nello stesso partito, approfittare della stessa decadenza istituzionale, concorrere fra loro a chi offende di più il diritto o la lingua italiana, ma non sono la stessa cosa: il primo fu la punta di lancia di un contropotere, fuori dai binari costituzionali, il secondo è il frutto di poteri dissolti. La realtà stessa è diversa, non potendosi paragonare un sistema che prevedeva e comportava il finanziamento illecito dei partiti, rispetto al quale la presenza di arricchimenti personali era la devianza e il sintomo della decadenza, e un sistema nel quale il malaffare ha come unico scopo il tornaconto privato. Non si tratta di far graduatorie (non qui, almeno e, comunque, per non essere ipocrita, non mi pare che i soldi della politica stiano sullo stesso piano di quelli intascati), ma di comprendere la differenza.

E’ vero, la magistratura fa sempre più politica, i singoli magistrati si avventano sugli indagati più con la foga di chi vuole prender loro il posto che con quella di chi ama la giustizia. Questo, però, non autorizza a tingere le toghe di un solo colore, e sarebbe sciocco dimenticare che anche governi di sinistra sono caduti dopo avere subito assalti giudiziari.

Fatte queste premesse, niente affatto scontate, proviamo a prepararci alla tempesta, inchiodiamo qualche tavola a difesa degli infissi. Prima di tutto viene il diritto, la cui forma è sostanza: non solo non è colpevole chi si trova coinvolto in indagini, ma neanche gli imputati, e neanche i condannati non definitivi. Ogni scorciatoia è uno scivolo verso l’inciviltà, ogni giustizialismo è la negazione della giustizia. Il garantismo, di cui ci sentiamo interpreti, non è, però, né innocentismo né ingenuità: gli uomini pubblici possono essere chiamati a rispondere del loro comportamento anche a prescindere dalle inchieste giudiziarie. Claudio Scajola, ad esempio, ha sbagliato e ha giustamente pagato un prezzo politico, ciò non toglie che non è neanche accusato e che, se gli capiterà di esserlo, potrà dimostrarsi innocente. Glielo auguro. Il caso Scajola, doloroso e non senza conseguenze negative, aiuta a dire una seconda cosa, sgradevole: chi ha scheletri nell’armadio non tenti di approfittare di chi, con coraggio e disinteresse, si batte contro il giustizialismo. Stiano attenti, perché così non fanno che rendere più forti i forcaioli, la masnada che vuole impalarli.

La classe politica impari una lezione, dal 1992-1994: a star fermi e tentare di approfittare della fine d’un avversario ci si rimedia solo la fine collettiva. Agire, però, non significa dotarsi d’immunità, tanto, per quanto vasta sia (e più di tanto non sarà), c’è sempre un anello con il quale si spezza la catena, c’è sempre un’accusa rispetto alla quale evitare il processo salva la persona ma ammazza la politica. Agire significa mettere mano alle riforme che liberino il mercato dalla politica e liberino la spesa pubblica dai profittatori. Puntare su trasparenza e competizione è possibile, quindi doveroso. Le inchieste sulla protezione civile non hanno (almeno fin qui) dimostrato molto, ma l’esistenza stessa di lavori fatti in emergenza, finalizzati a questioni che emergenze non erano e non saranno mai, è la dimostrazione che il sistema degli appalti pubblici non funziona. L’unico modo per aprire i cantieri è non rispettare le leggi e i regolamenti della normalità. In questi casi, però, si cambiamo le leggi, non s’istituzionalizza la deroga.

Una politica capace di muoversi e determinata al cambiamento suscita molte opposizioni, ma può essere spiegata ai cittadini. Quella che s’accasa e rinvia, quella che si protegge e lascia correre, invece, può pure scivolare via, ma verso il destino che merita. A tal proposito: ci sono moltissimi cittadini, imprenditori, lavoratori, uomini liberi e cultori del diritto che sono pronti a battersi contro i corporativismi togati, anche affrontando i rischi della reazione e della vendetta, cui certuni sono più che inclini, ma per nulla di meno che per una giustizia che riguardi tutti, che serva a tutti e che aumenti la sicurezza collettiva. In tal senso, per dirne una, la riforma relativa alle intercettazioni è sbagliata e inutile. La sinistra, dal canto suo, valuti quanto tifare tempesta equivalga a preparare la propria scomparsa.

Può darsi che non arrivi, che il rombo dei tuoni sia solo una minaccia. Meglio così. Ma se si nega la possibilità, se si rimane fermi a godersi l’ultimo sole, se non si mettono al riparo le cose, non si può poi scappare al coperto e sperare che altri provvedano. Attenti, perché dal 1992 ad oggi la società italiana ha perso progressivamente identità, ha accresciuto l’egoismo e s’è incattivita. Difficile valutare l’effetto dei fulmini, quando i nervi sono scossi.

Condividi questo articolo