Politica

Aste e silenzio

Non si può certo dire che il governo Monti manchi di raffinatezza nella gestione della comunicazione, al punto che un Consiglio dei ministri si conclude nel silenzio e si alimenta l’attesa circa le notizie che saranno date domani. Una punta di civetteria s’è vista nel sentir dire che la riunione di ieri era stata caricata di aspettative eccessive, ma, per la verità, era stato Palazzo Chigi a non commentare lo schizzare dello spread, annunciando la riunione governativa e il varo della seconda fase. Le aspettative, quindi, saranno pur state esagerate, ma restano legittime: il governo ha in mente una strategia, o segue gli eventi in modo accorato, come noi tutti? La consegna del silenzio può essere una saggia cosa, anche come terapia contro il modo disordinato con cui s’erano affrontati certi temi, o le interviste politicissime rilasciate da ministri che alla politica non hanno, almeno fin qui, voluto dedicare né la vita né la disponibilità a correre il rischio d’essere giudicati dagli elettori.

Quest’oggi, però, ciò che attendiamo di conoscere non è una collana di pur utili provvedimenti, ma la chiave politica con la quale il governo spera d’aprire la porta che porta fuori dalla tempesta. E’ vero che l’asta dei buoni del debito pubblico è andata bene, ma prima di dirsene felici occorrerebbe guardar dentro quegli acquisti, perché qualora si scoprisse che a comprare sono state le banche, utilizzando soldi che la Bce ha messo loro a disposizioni e investendoli in titoli che rendono più del triplo di quanto quel denaro costa, probabilmente molti sorrisi avrebbero una buona ragione per spegnersi. Tanto più che i soldi in quel modo investiti sarebbero tolti all’attività di credito, quindi a imprese e cittadini. Né è contraddittorio che, nella stessa giornata, sempre ieri, la differenza fra i tassi che vengono chiesti a noi italiani e quelli chiesti ad altri, Germania in testa, resta altissima, perché i mercati vedono che non s’è trovata una soluzione e non rinunciano (perché dovrebbero?) a battere cassa, a spillare quattrini, a mantenere alto il prezzo dei loro investimenti. Il sommarsi di questi due elementi, dell’asta e dello spread, conferma l’insostenibilità della nostra condizione oltre un periodo brevissimo, già in gran parte consumato. L’approssimarsi del nuovo anno, che si svolgerà all’insegna della recessione, rende tutto più doloroso e complicato.

Nessuno, sano di mente e onesto, chiede a Mario Monti di prendere misure che ribaltino questa situazione, perché quel genere di provvedimenti non esiste. Ma stiamo, noi tutti, ancora aspettando di sapere se il governo ha individuato una linea politica che eviti all’Italia di strangolarsi con le tasse e che ci sia messo sul conto il fallimento dell’euro. Ciò che si chiede, quindi, non è (solo) un elenco di cose da farsi, ma se esiste o meno la capacità di difendere gli interessi nazionali nell’unica sede che conta: quella dell’Unione monetaria.

Oggi ci aspettiamo che il presidente del Consiglio non comunichi un ulteriore insieme di compiti a casa, da scrivere nel diario e da eseguire con severa diligenza. Ci aspettiamo che rifiuti tale logica, cui pure s’era piegato, perché l’Italia non è la peccatrice che deve espiare, il somaro che deve recuperare, ma uno dei Paesi fondatori dell’Unione, una delle grandi potenze economiche del mondo e il Paese Ue che ha fatto registrare, nel 2011, il più consistente incremento delle esportazioni all’esterno dell’Unione. Abbiamo le nostre colpe, gravi, ma questo atteggiamento delle maestrine bisbetiche ha rotto l’anima: le colpe dei tedeschi e dei francesi (che sono nella palta) non sono affatto inferiori alle nostre, sicché abbiamo diritto a chiedere che il nostro governo non si genufletta a chi non può dare lezioni.

L’Unione europea può e deve essere effettiva comunità di popoli, che puntano a un vero federalismo. Questa è la ricetta che ci porta fuori dalla crisi. Mentre l’idea di un’Unione in cui gli interessi di alcuni sono legittimi e quelli di altri improponibili è esattamente l’incubo che ha già partorito mostri terribili. Meglio smetterla. Subito. Il governo Monti ha fin qui preso decisioni dolorose, ma dovute. Il capitolo più importante è stato quello delle pensioni. Ma trovo sia un errore lasciare credere che una seconda fase, denominata dello “sviluppo”, serva a superare i problemi che viviamo. Può servire per i problemi interni, ma quelli esterni, largamente prevalenti, richiedono adeguata iniziativa politica, visione d’insieme e relazioni internazionali che servano non ad essere salutati e invitati a pranzo, ma a tutelare i nostri interessi. Monti dovrà essere capo del governo, non professore.

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