Giancarlo Pochetti (sull’Opinione di sabato scorso) ha ragione: al referendum sul sistema elettorale non ha vinto il No, e certi brindisi sono fuor di luogo. Ha prevalso l’astensione, cioè il non andare a votare, e questo, in democrazia, sia detto da chi, come me, non è andato a votare, non è una bella cosa. Tutt’altro.
Fra coloro che non sono andati a votare, indubbiamente, vi è una quota inerziale di elettori poco attenti alle cose della vita politica e civile. Ma se gli astenuti superano il 50%, altrettanto indubbiamente, vi è qualche cosa di più. Credo che a pesare siano stati i tre motivi che elenco, posto che ciascuno degli astenuti può averli sentiti tutti od uno solo, ma gli è sembrato sufficiente per comportarsi di conseguenza.
1. La democrazia diretta, il referendum, serve o nel caso in cui si intende raccogliere la maggioranza degli elettori contro la volontà della maggioranza del Parlamento; oppure quando in Parlamento, sul tema specifico, non esiste alcuna maggioranza. In questo caso, invece, a favore del Si era schierata la grandissima maggioranza delle forze politiche, il che toglie sugo al voto.
2. Tanto più che il Parlamento ha già mostrato di infischiarsene dei voti referendari: sia per quel che riguarda il finanziamento pubblico ai partiti, come ricorda Pochetti; sia per quel che riguarda l’abolizione di certi ministeri o la responsabilità civile dei magistrati. A che serve votare se poi non se ne tiene conto? Preferisco, allora, votare alle politiche contro chi ignora i dettati referendari.
3. L’ultimo referendum era impostato malissimo. Si diceva: serve ad abolire la quota proporzionale. Ma era una bugia: si aboliva solo il modo di assegnarla. Si diceva: porta al maggioritario uninominale secco. Ma era una bugia. Si diceva: serve ad aprire la strada alle riforme. Ma sono bastate tre ore di dibattito surreale, basato sul presupposto che avessero vinto i Si, per rendere chiaro che non si sarebbe fatta nessunissima riforma del sistema elettorale referendato.
La nostra educazione democratica ci porta a guardare con sospetto chi rinuncia al diritto di votare. Lo capisco, ma non si dimentichi che, nel caso dei referendum, è proprio la Costituzione a tutelare e dare peso politico al diritto di non votare.
Certo, sui voti espressi il Si trionfa. Ma anche questo è un dato che merita di essere letto con attenzione: a) ciò dimostra che l’unica opzione possibile era il Si, il che non è bello; b) ciò significa che il 90% delle forze politiche presenti in Parlamento sono riuscite a mobilitare il 45% degli elettori. Riflettano, su questo.
Questa storia, comunque, non è il nocciolo del problema. Il nocciolo è l’opportunità e la possibilità di portare l’Italia, con la forza delle leggi elettorali, ad essere un sistema maggioritario e bipolare. Quelli che brindano perché hanno salvato la pellaccia non sono uno spettacolo commendevole, ma occorre anche che ci si renda conto che non può essere assegnata alle leggi elettorali la missione di cambiare l’Italia. Fin qui, ogni volta che si è fatto un passo verso il maggioritario si è anche fatto crescere il numero dei partiti presenti in Parlamento. Dice niente questo fatto? Dopo l’intervento della Nato in Serbia, se già vivessimo nel sistema maggioritario bipolare, saremmo rimasti senza governo possibile. Sicuri che questo non sia un dato da considerare?