Politica

Auguri per il 1996

Fra quattro settimane sarà capodanno, così entreremo, finalmente, nel … 1996. Auguri. Mentre l’Italia politica, a sinistra e a destra, crede che il calendario possa essere beffato, sicché si possa mettere in scena, per l’ennesima volta il medesimo anno, nell’Italia reale le cose cambiano. Per citare un paio di dettagli: rispetto al 1996 l’euro non è più il regno dei bassi tassi d’interesse e il Paese non si limita a crescere meno di quel che potrebbe, ma direttamente recede. E’ cambiato il mondo, ma non la politica italiana. Quindi accomodatevi e godetevi lo spettacolo di Berlusconi contro Bersani. Rifacimento delle seguenti pellicole: Berlusconi contro Occhetto; Belusconi contro Prodi; Berlusconi contro Rutelli; Berlusconi contro Prodi; Berlusconi contro Veltroni. Attenti a non farvi buggerare: Berlusconi è sempre lo stesso, ma anche gli altri sono sempre lo stesso soggetto, variamente travestito. Alla moda di Nick Carter e Stanislao Moulinsky.

La sconfitta di Renzi era largamente annunciata, e qui messa in conto fin dal momento in cui accettò le regole con cui si sono tenute le primarie. Che la nostra analisi fosse esatta lo dimostra che fra il primo e il secondo turno il sindaco di Firenze perde voti, segno che i suoi sostenitori (al netto dei respinti che, però, non c’erano al primo turno) davano per persa la partita. Archiviata questa pagina, preso atto che Renzi si riallinea nelle retrovie, resta l’incubo del ritorno al passato. Dove il pazzo non è lo scienziato che mette a punto la macchina del tempo, ma tutti noi che non ne scendiamo prendendola a calci.

C’è un modo per uscirne? C’è. Oramai le legioni elettorali s’incamminano eguali a se stesse, prendendo in ostaggio i rispettivi elettori. Quelli decisi alla fuga imboccheranno la via del grillismo, che non raccoglie voti d’astensione, ma di vendetta. Immaginare che l’Italia passi dal governo Monti a quello Bersani equivale a supporre che si possa passare da quello commissariale a quello commissariato. Già rischiano di non avere la maggioranza al Senato e, in ogni caso, sarà determinate la componente che rifiuta quel che il Pd ha fin qui votato e che vede l’avversario, sui temi del lavoro, non tanto nella Fornero, quanto in Ichino. Così non vanno da nessuna parte. Le legioni, dunque, sono delineate e marciano verso il dirupo. Il modo per uscirne è cambiare direzione, visto che non c’è più né tempo né speranza di cambiare le legioni.

Ecco come: si ponga subito la questione istituzionale. Esiste la comune necessità di uscire dal pantano della seconda Repubblica, dove si vota, si vince e non si governa (al prossimo giro saranno 3 a 3, senza neanche la palla). La sinistra fa le primarie, elegge il candidato a premier, dice che sarà Bersani (in quanto vincitore) a scegliere la squadra di governo. Significa che già hanno abbandonato la Costituzione vigente, dove è scritto tutto il contrario (forse loro non lo sanno, forse lo nascondo, ma è così). La destra ha un leader-fondatore che lo ripete da anni, anche stucchevolmente: volevo fare, ma il sistema me lo ha impedito. L’adeguamento fra le istituzioni vissute e quelle costituzionalizzate è una comune necessità. Proporlo è l’uscita d’emergenza. Per evitare che i voti di Grillo siano condanna del sistema (come è già successo in Sicilia). Per evitare che il vincente a sinistra sia sbranato dai suoi. Per evitare che la destra riduca il suo fondatore al ruolo di miglior perdente.

Sarebbe bene, su queste cose, rompere sia la sinistra che la destra. Non ci si crede? Non si vuole? Meglio fare ancora un giro? Allora auguri: fra quattro settimane il mondo entrerà nel 2013. L’Italia nel 1996.

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