La suggestione dei diritti senza doveri ha figliato l’illusione dell’avere senza dare. Tale dileggio delle compatibilità e della ragionevolezza nasce dall’allucinazione secondo cui ciò che è pubblico deve essere inteso come una specie di dispensa, che ciascuno può aprire per prendere, prima perché ne ha bisogno, poi perché ne ha voglia, infine perché non sa cos’altro fare. E trova nella Corte costituzionale il suo accreditatore culturale, sì che la società dei viziati non abbia a sentirsi tale, ma, semmai, accolita di giusti cui è sottratto il dovuto. Leggete la sentenza sulla legge Fornero, quella che stabilisce il diritto di tutti all’adeguamento delle pensioni ai prezzi, e ponetevi una semplice domanda: chi paga? Sappiate che è l’unica che non si sono posti, in quell’alto consesso.
La legge Fornero, del 2011, fu strappo brutale e impreciso. Lo strappo accorciò i tempi di un processo riformatore che si trascinava da anni. Processo spinto, giustamente, dal centro destra e risospinto indietro, ingiustamente, dal centro sinistra. Alla Lega che ha disciolto la memoria occorrerà ricordare che lo “scalone”, ovvero una leggera accelerazione dell’innalzamento dell’età pensionabile, porta il none dell’allora ministro del lavoro, Roberto Maroni. Al Partito democratico, che suppone la storia si possa scrivere a maggioranza, va ricordato che furono loro a cancellare lo scalone, mettendolo sul conto dei precari. Prima di volerli eliminare, dunque, li impoverirono. I precari sono ancora lì, però, più poveri di futuro. Appunto. Fu impreciso, lo strappo della Fornero, perché il correre appresso ad un’emergenza di cui non seppero vedere e aggredire le cause, fece commettere errori gravi, come quello degli esodati. Oltre a produrre la lacrimazione ministeriale.
Quella legge, però, partiva da un’evidenza che rimane tale ancora oggi: le pensioni in pagamento hanno un valore largamente superiore alla ricchezza accumulata mediante i contributi versati. La metà delle pensioni esistenti non ha relazione con quei versamenti. La differenza ce la mettono gli altri, i lavoratori e i contribuenti di oggi. Decisero, allora, di bloccare la perequazione per chi incassava più del triplo della pensione minima. Misura rozza, certo, ma non priva di senso. Ora la Corte dice che fu violato un diritto costituzionale, perché la Carta afferma l’inviolabile diritto a vedere aggiornato il valore della pensione. Ammesso (e assai non concesso) che si trovi un tale scritto, la domanda è: chi paga? Nella Costituzione hanno trovato anche un comma che dice: chi lavora oggi e non avrà la pensione uguale a quella di ieri, ha comunque il dovere di pagare per quella degli altri, imparagonabilmente più alta di quella che li aspetta?
Occorrerebbe avere un quadro preciso, sapere, dalla pensione più povera a quella più ricca, quali, quante e di quanto si discostano dal valore dei contributi versati. Poi si può decidere di regalare ricchezza a chi ha la fortuna d’essere nato prima, togliendola a chi è nato dopo. Si può decidere di essere generosi solo con i poveri, tagliando i diritti acquisiti di chi non lo è (ma qui si deve essere onesti, senza legarsi all’ipocrisia che vuole “ricchi” i piccolo borghesi). Si può deliberare dopo avere conosciuto. Tito Boeri ha promesso questi dati. Bravo, li attendiamo. In ogni caso non c’è un vincolo costituzionale a remunerare il passato impoverendo il futuro, se non per quel che corrisponde al patrimonio da ciascuno accumulato. Toccare il quale sarebbe furto.
Ma, dice la Corte, il governo non ha ben spiegato quali esigenze finanziarie giustificassero un tale provvedimento. Si può invecchiare senza perdere il senso dell’umorismo, e gli attempati della Consulta ce ne danno conferma. Sicché, nel 2011, non leggevano i giornali. Né in italiano, né in una qualsiasi delle lingue dell’Unione europea. E ora pretendono di saper fare i conti meglio dell’Istat, dell’Inps, della Ragioneria generale dello Stato e del governo. Il che può pure essere, se non fosse che i conti non li fanno proprio. Si limitano a dire: qui c’è un diritto ad avere, sicché voi avete il dovere di scucire. Sì, ma chi paga?
Pagano quelli che non avranno. E si paga con un aumento del deficit. Che porta un aumento del debito, il cui costo fa sì che ogni euro speso a buffo ci costa più di un euro. La via sicura verso la bancarotta. Ma non abbiate paura, quel giorno chiameremo la Corte e la faremo giudicare incostituzionale.
Pubblicato da Libero