Fra il 7 e il 10% degli elettori, più di 3 milioni di cittadini, hanno votato o avrebbero pur votato due partiti avviatisi al suicidio. Si illustrano ragioni che sono più macchiettistiche che politiche, basate su personalismi di trascurabile spessore. C’è qualche cosa di ben più antico e profondo. Da qualche tempo a questa parte s’è presa l’abitudine di definirsi “liberali” o “liberaldemocratici” solo per segnalare che non si è più quel che si era prima, tanto che quell’area s’è popolata di persone nate e pasciute altrove. Ma c’è chi – come me – che in quell’area c’è nato e non si segnalava per quel che non si era più, ma per l’Italia e l’Europa che non c’erano ancora. Prima che questa divenisse l’isola dei naufraghi, v’erano isolani che ne conoscevano la natura.
I progressi dell’Italia, a cominciare dall’Unità, si devono alle minoranze di democrazia laica. Si chiamavano così quelle radici risorgimentali, perché il Vaticano era contro l’Unità e per realizzarla se ne dovette superare il veto. Fino a mandare gli schioppi a Porta Pia. L’Unità e poi mille altri passi avanti non li fecero fare da soli, semmai interagendo con forze maggioritarie che raccoglievano paure e risentimenti degli italiani ma non erano capaci di vederne gli interessi al di là delle più vicine scadenze. Nel mondo democratico cristiano ancora si celebra la figura di Alcide De Gasperi perché fu un Dc non affetto da quella mancanza di futuro. Le forze laiche e repubblicane sapevano invece di avere un passato, intravvedevano la bellezza del futuro ma non riuscivano a darsi un gran presente. Troppo lungo sarebbe scandagliarne qui le ragioni.
Chi ha guardato con attenzione in quell’invidiabile album di famiglia (che in parte si è ritrovato nelle nostre ultime pagine del sabato e nella raccolta “Il Mondo della Ragione”), chi ha studiato con amore e senso critico la storia degli isolani nativi, sa che esiste un veleno capace di vaporizzarli all’istante: il dovere stabilire se si sta, a prescindere, con la destra o con la sinistra. In fondo è questo che, ancora oggi, annichilisce Azione o Italia Viva, di questo sono accusati Carlo Calenda o Matteo Renzi. Che, per completare il quadro, se ne accusarono fra loro. Peccato sia la più inutile e fessa delle questioni.
Prendete il tema della giustizia o, meglio, quello più grande ancora del diritto: un liberaldemocratico lavora per la certezza del diritto, perché la pena sia scontata dopo e non prima della condanna, perché l’indagato e l’imputato siano rispettati nel loro diritto a difendersi davanti al potere preponderante dello Stato. Chi crede nel diritto crede nelle garanzie e aborre l’inciviltà forcaiola del triviale scagliarsi avverso l’accusato. Bon, un simile palato non può ciucciare nulla né della destra né della sinistra, perché da ambo le parti si coltiva il giustizialismo. Con l’aggravante immorale di farlo soltanto con gli avversari.
Prendete il tema dell’europeismo: un liberaldemocratico sa che il destino civile dell’Italia è consustanziale all’integrazione europea in un contesto atlantico e sa che fuori da quell’alveo ci si prepara solo il peggio. E sarebbe niente se il peggio fosse, come sarebbe, soltanto economico. E che fa, va a destra con quelli che giravano «No euro» o a sinistra con quelli che manco volevano entrarci e non volevano neanche il Serpente monetario? Sceglie se stare con il partito unico della spesa pubblica di destra o di sinistra?
Prendete quello che vi pare, ma i nativi isolani sanno che non si rimane isolati solo se si resta a una ferrea coerenza e se si parla di quel che viene dopo il presente già passato. Sanno che le due coalizioni sono false e non si può veramente aderire a nessuna, che il bipolarismo italiano è una finzione indotta da pessime leggi elettorali, prive di storia e di futuro. Poi oh, sanno anche che la politica non è storia e manco oroscopo, che si maneggiano poteri e interessi e ci si trova alleati con cui farsi valere. Ma non si smette mai di essere soltanto sé stessi. Altrimenti ci si ributta in mare e si continua a nuotare verso il nulla con seggio parlamentare.
Davide Giacalone, La Ragione 19 settembre 2024
