Politica

Azionisti

Quando un laico parla di un altro laico lo fa per parlarne male. Se ci sono malattie che non hanno mai attecchito nel corpo del laicismo italiano sono la solidarietà di gruppo e lo spirito di casta.

Se affermo, quindi, che Antonio Carioti ha dato alle stampe un ottimo libro, non lo faccio in omaggio ad un’antica amicizia. Ci sono pagine di riflessione storica e d’attualità politica, nel suo libro sull’azionismo, che meritano di essere lette e rilette.

“Maledetti azionisti”, questo è il titolo, riassume e mette a fuoco un dibattito sul Partito d’Azione che, negli anni, ma specie di recente, è stato condotto più sulla base di pregiudizi (positivi e negativi) che di fondate analisi documentali. Furono azionisti uomini come Ugo La Malfa, De Martino, Lombardi, Visentini, così come furono azionisti Lussu e Fenoaltea, o Bobbio, Foa e Venturi, ed altri ancora che ebbero, poi, storie ed evoluzioni politiche diverse, quando non diversissime. Cercare, quindi, nell’esperienza azionista, che fu anche breve, il marchio indelebile di una comune matrice destinata a lasciare il segno fino alle nostre vicende più recenti, significa cercare un fantasma. Parlare di “borghesia azionista” capace di guidare le scelte del capitalismo italiano, mettendo in un unico contenitore Cuccia, Ciampi ed Ernesto Rossi, significa essersi persi le ultime duecento puntate della storia d’Italia.

Ad un certo punto uno storico di scuola marxista, d’Orsi, rimise assieme materiale già arcinoto e ne volle trarre la conclusione che il così detto azionismo torinese fu intriso di compromissioni morali con il fascismo, negando il tratto della coerenza e, perché no, dell’eroismo anche a quanti il fascismo lo vissero dalle patrie galere. Da questo lavoro di dubbio fondamento e non meno dubbio gusto prese spunto Giuliano Ferrara per strillare una reprimenda con la quale chiudere per sempre la pagina della mitologia azionista. E poco importa che i miti fossero nemici, per definizione, tanto del pensiero laico che della scuola azionista.

A Ferrara mancò la precisione e la lucidità di Carioti, capace di dimostrare che l’azionismo era stato preso di punta da uno come Augusto Del Noce, con l’accusa di miscredentismo e mangiapretismo al servizio della demoniaca macchina capitalista, e poi da Galli della Loggia, che rimproverava agli azionisti di essersi asserviti alla propaganda ed agli interessi dei comunisti italiani (quelli del voto favorevole ai Patti Lateranensi, per intenderci). Con il che si aveva il dubbio che i due non stessero parlando dello stesso fenomeno Politico.

Si accusarono agli azionisti di giacobinismo, anche a causa di un non bel libro di Galante Garrone, dal titolo assai infelice (“Il mite giacobino”), ma si dimenticò che nella stagione del giacobinismo ghigliottardo e manipulitista, del giustizialismo cieco e populista, una delle prime voci a sollevarsi in opposizione fu quella di un ex azionista: Leo Valiani. E le parole di Carioti sono precise ed inconfutabili: “A prescindere dalla valutazione riguardante il merito delle inchieste, non si può ignorare che ad applaudire con entusiasmo la ghigliottina simbolica allestita da Antonio Di Pietro c’erano sì parecchi giacobini, ma anche frotte di vandeani e sanfedisti, per giunta molto più esagitati. Fuor di metafora, se c’è stata una sinistra, anche di ascendenza azionista, che correva verso i metodi non sempre ineccepibili di certa magistratura, la destra leghista e missina, oggi raggruppata sotto le insegne dello schieramento in cui si riconosce Il Foglio, non è stata certo da meno. Si può citare un’infinità di episodi: i picchetti permanenti di solidarietà del Msi sotto il palazzo di giustizia milanese, le continue invocazioni della galera per i ‘ladri di Roma’ in nome della superiore moralità padana, i titoli gridati dell’Indipendente di Vittorio Feltri, il cappio con nodo scorsoio sventolato da un seguace di Bossi alla Camera, l’assedio di giovani militanti del partito di Fini intorno all’aborrito ‘Parlamento degli inquisiti’. Perfino le televisioni della Fininvest, con i loro cronisti d’assalto, tirarono la volata al pool di Francesco Saverio Borrelli. Troppo semplice e troppo comodo, ora che i tempi sono mutati, ridurre tutto all’intransigentismo etico dei soliti vituperati ex azionisti. La rilettura critica degli anni ’90 richiede un esame di coscienza collettivo di gran lunga più vasto”.

Come si vede, la riflessione sull’azionismo non può che portare a temi di strettissima ed irrisolta attualità, ma l’errore da non commettere è quello di volere scrivere questa o quella pagina di presunta storia al mero servizio di qualche polemica di giornata. Intanto perché si tratta di pagine destinate ad alimentare i caminetti, e poi perché questo modo di procedere finisce con l’inquinare tanto la storiografia quanto l’attualità.

In realtà, sembra che i sussulti di certe irragionevolezze scritte sull’azionismo celino il non digerito rapporto con pagine dolorose e pesanti della nostra storia nazionale. E, come sostiene Carioti: “Il punto più dolente, da questo punto di vista, resta tuttora il rapporto del tutto particolare che l’Italia ha intrattenuto con due fenomeni politici estremi quali il fascismo e il comunismo. Per quanto riguarda il primo, siamo addirittura la nazione che l’ha inventato come ideologia e l’ha vissuto più a lungo come regime, fino quasi a identificarvisi nell’immaginario collettivo di molti italiani. Ma anche il secondo ha riscosso da noi un successo assolutamente inaudito per un paese dell’Occidente, tanto che oggi la sinistra coincide quasi per intero con partiti provenienti dal solido ceppo del Pci di Palmiro Togliatti. La stessa Prima Repubblica – più volte dichiarata morta, ma ancora del tutto priva di un successore – è nata formalmente sul fondamento dell’antifascismo, per poi vivere lungo il filo conduttore del conflitto tra comunismo e anticomunismo, che ne ha fatto una democrazia bloccata per quasi mezzo secolo”.

E dato che la storia non si occulta e non si dimentica, i fatti hanno la testa dura ed i problemi tornano a galla ecco che: “Quanti più sforzi hanno fatto i Democratici di sinistra e Alleanza nazionale per emanciparsi dagli aspetti più imbarazzanti dei rispettivi retroterra storici, tanto più i loro interlocutori (naturalmente gli avversari, ma a volte anche gli alleati) li hanno inchiodati al marchio d’infamia costituito dai troppi antenati liberticidi. Malgrado il ritorno al governo, il partito di Gianfranco Fini attraversa una grave crisi d’identità. Sono scomparsi nel nulla i bizzarri richiami simultanei a Gramsci e a Julius Evola inseriti nelle tesi del Congresso di Fiuggi nel 1995. Appare fuori dalla realtà, per una forza dagli irrefrenabili istinti populisti, l’ipotesi d’ispirarsi alla severa ed elitaria destra storica ottocentesca. E’ fallito, con il naufragio elettorale dell’Elefante alle europee del 1999, il tentativo di seguire l’esempio dei repubblicani americani. Resta solo la ripetizione di litanie anticomuniste, che espone però a inevitabili ritorsioni antifasciste, proprio quelle che Fini intendeva evitare quando preferì non seguire Berlusconi nell’utilizzo del voluminoso Libro nero del comunismo alla stregua di un corpo contundente. D’altronde, se An piange, i Ds stanno anche peggio. Per gli epigoni del Pci il richiamo alla socialdemocrazia europea funziona fino a un certo punto, dovendo scontare un’imbarazzata messa tra parentesi della rilevante tradizione socialista italiana. Ma rifarsi ai Kennedy e al filone della sinistra liberal anglosassone risulta ancor meno plausibile, poiché implica un’azzardata fuoriuscita dalla famiglia del movimento operaio continentale”.

Leggere Antonio Carioti non è una sorpresa, ma di certo un piacere. Un piacere accresciuto dal potere trovare nelle pagine pubblicate dagli Editori Riuniti, storico editore comunista, affermazioni come questa, riferita a Palmiro Togliatti: “…il leader storico del Pci aveva sempre approvato ed esaltato i crimini staliniani…”. Il che dimostra che si può anche provare a seppellire i fatti sotto tonnellate di pagine alimentate dalla propaganda di parte, ma la verità trionfa, comunque. Che ad accompagnare il trionfo sia questo agile libretto ci sembra giusto, oltre che bello.

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