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Babbo Mes

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Morale della favola natalizia: Meloni sul Mes è incoerente ma fa bene a esserlo, è cosa giusta e giova all’Italia.

In questi giorni si è tenuti a credere a Babbo Natale. Se proprio non ci si riesce, si può ben fingere. Ma se riuscite anche a credere che Giorgia Meloni abbia detto no al Mes, allora siete pronti a credere a tutto. Perché la presidente del Consiglio ha annunciato il contrario: sarà ratificato.

Ha detto che la ratifica è questione di secondaria importanza e, comunque, riguarda il Parlamento. Giusto: non è niente di che, dimostrandosi inutilissima la sceneggiata fin qui allestita, e riguarda il Parlamento (così risponde Meloni a quelli che chiedono: perché non lo ha ratificato Draghi?), dove però – se non ricordo male – è la destra ad avere la maggioranza. Sarà interessante vedere se oseranno lasciare “libertà di coscienza”, manco fosse l’aborto o l’eutanasia, di sicuro devono garantire l’approvazione. Mentre è singolare che il Partito democratico non sia sulla posizione di Azione, a reclamare la lesta votazione. Perché ci sta che l’opposizione voglia sottolineare la contraddizione, a meno che non voglia gareggiare nel contraddirsi.

Certo, Meloni ha detto che firma con il sangue l’assicurazione che l’Italia non accederà al Meccanismo europeo di stabilità. Posizione netta ma da illusionista, perché nessuno pensava di accedervi. In ballo c’è la ratifica. E siccome ha anche detto che l’Italia non bloccherà gli altri – posto che o ratificano tutti o la riforma salta – ne discende che l’annuncio di Meloni è: l’Italia ratifica il Mes.

Ma non accontentiamoci, parliamo dell’uso, perché concedere margini di ombra e bugia significa dovere passare ancora anni a far i conti con tesi bislacche. Il Mes esiste già, tanto è vero che è stato utilizzato. Punto rilevante, visto che qualcuno sostiene non sia mai stato utilizzato da nessuno. Esiste da dopo il crollo greco, perché è vero che la Grecia è stata salvata (sal-va-ta) dagli aiuti europei, italiani compresi, ma in quel momento mancava lo strumento necessario. Che è stato approntato dopo. Da quel momento cinque Paesi vi hanno fatto ricorso, ciascuno traendone vantaggi. Di che si tratta?

È un meccanismo che stabilizza Paesi che hanno difficoltà a finanziarsi e si trovano a pagare, per i propri debiti, tassi d’interesse troppo alti, rischiando squilibri permanenti. Il che toglie da mezzo l’altra obiezione strampalata: fa aumentare i tassi d’interesse. No: rimedia alla loro eccessiva crescita. Il fondo può essere utilizzato anche in caso di fallimenti bancari, per garantire risparmiatori che, altrimenti, potrebbero perdere i loro soldi. Speriamo non accada, ma ove accadesse l’imminente ratifica è una buona assicurazione, che integra il fondo di risoluzione. In entrambi i casi si tratta di una assicurazione che consente l’accesso a tassi agevolati. Naturalmente con delle condizioni. Ovviamente e giustamente, visto che si tratta di soldi nostri, di noi cittadini europei. Poi c’è il caso tragedia: la bancarotta. Un Paese, come capitò alla Grecia, che bara sui propri conti e, a un certo punto, non può più rimborsare i creditori. Il Mes assicura una procedura ordinata e il rispetto di un ordine nei rimborsi e nelle perdite. Naturale che nessuno si alzi la mattina dicendo: oggi chiedo il Mes. Sarebbe come alzarsi e dire: oggi mi faccio ricoverare al Pronto soccorso. L’importante è andare a dormire sapendo che esistono entrambi. Tutto qui. E non è poco.

E allora perché si parlò del Mes a proposito della sanità e della pandemia? Perché non era l’attivazione del Mes ma l’accesso – sempre a tassi bassi – ai fondi colà immobilizzati, senza le condizionalità della tragedia e per scopi sanitari. Anche su quello montarono una sceneggiata, salvo dire oggi che sarebbe bene discutere sull’uso non solo emergenziale dei fondi Mes. Esatto, bravi, è quel che si realizzò allora.

Morale della favola natalizia: Meloni è incoerente ma fa bene a esserlo, è cosa giusta e giova all’Italia. Sarebbe stato meglio dirlo apertamente, senza scomodare il sangue. Sarebbero cresciute lei e la destra. Sarà per un’altra volta.

di Davide Giacalone

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