Politica

Bancarella

giacalone editoriale la ragione 29 agosto

Dallo sportello di una banca s’intravvede un panorama diverso da quello che la politica tende a volere indicare e spera si possa immaginare. La contraddizione finisce con il travolgere temi che difficilmente si assocerebbero agli scorci bancari, compreso quello della difesa comune europea. Un obiettivo che si dice di volere cogliere e che la presidente del Consiglio ha sottolineato nel corso del medesimo discorso con il quale ha ribadito di condividere le osservazioni di Draghi. Il quale aveva fatto rilevare che non basta l’integrazione economica e di mercato per diventare una potenza geopolitica, aggiungendo che quell’integrazione deve essere liberata dai tanti freni ed ostacoli, anche investendo soldi presi con un debito comune. Giusto, ma dallo sportello di una banca si vedono cose diverse.

Il presupposto di quegli obiettivi è lo spazio bancario comune, perché solo banche che abbiano spessore, mercato e dimensione continentale possono fornire l’energia finanziaria in grado di sostenere un così ambizioso e sano progetto e tanti altri, dall’energia al digitale. Però poi si fa il contrario.

Del così detto “terzo polo bancario” si parla più che altro in termini di potere, cercando di stabilire chi è amico di chi altro, chi prevale e chi soccombe, in una specie di opera dei pupi finanziari. Ma quel progetto, esplicitamente spalleggiato e sostenuto da forze di governo e dal governo stesso, ha un suo diverso e più importante significato: creare una forza finanziaria e bancaria che sappia insidiare il mercato delle due banche più grosse (Banca Intesa e Unicredit). È come se si sostenesse che le banche di cui c’è bisogno, per sostenere le ambizioni europee e il peso italiano in quelle, debbano essere alberi d’alto fusto, cresciuti nel terreno aperto del mercato (anche combattendo fra loro), ma poi si pretendesse di partecipare allo sforzo coltivando un alloro nel vaso che si trova nel cortile di casa. Tanto più che per salvare l’alloro s’impedisce agli alberi più grossi di fare ombra, s’impedisce alle banche più grosse di prendere le più piccole, ovvero impedendo al mercato di funzionare e schierando il governo con in mano la zappetta, nel mentre altri arano il terreno con il trattore.

Saranno le banche continentali a finanziare l’industria continentale della difesa (e le altre cose decisive) e le imprese italiane o rimarranno a dimensione delle bancarelle “di territorio” o diventeranno clienti di quelle banche. Nel secondo caso, prima o dopo, le banche grandi incorporeranno le piccole, avendo impedito a quelle italiane di diventare abbastanza grandi per poterlo fare e, anzi, avendone sfidato il mercato con una banca (Mps) che era già fallita e che è stata salvata con i soldi del contribuente (e dove il governo è sia azionista sia tifoso di quelle gesta).

Al contempo, in una aggiuntiva e paradossale contraddizione, si guarda ai soldi delle banche per effettuare ulteriori prelievi fiscali. Il che comporta una tassazione differenziata rispetto a quella di altri Paesi dell’Unione Europea, ovvero uno di quei “dazi europei” che esistono non per volontà dell’Ue ma dei governi nazionali, che Draghi denuncia e la cui denuncia si dice di condividere. Il tutto per finanziare un momentaneo arresto dell’innalzamento dell’età pensionabile, il cui costo fa cercare al governo 3 miliardi, salvo poi riproporsi il problema alla prossima (auspicabile) crescita della speranza di vita.

Ciò a tacere del fatto che se si vuole difesa europea, quindi banche europee, si dovrebbero volere anche regole comuni, mentre l’Italia è il solo Paese che non ha ancora ratificato l’argine di sicurezza per gli eventuali fallimenti bancari, contenuto nella riforma del Mes.

Sarebbe il caso di chiarire cosa si voglia veramente, dimostrando che intenzioni e azioni vivono in una qualche coerenza. Il che sarebbe doveroso anche se in presenza di un’opposizione che non è neanche in grado di chiederlo.

Davide Giacalone, La Ragione 29 agosto 2025

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