Politica

Bandiera bianca

bandiera bianca giacalone

Sembra che Dante sia sbarcato fra i grandi elettori, fin qui piuttosto piccini. Difficile che ci abbiano pensato, ma a scorrere la storia delle precedenti elezioni presidenziali si coglie meglio il significato della condotta vista nel corso delle prime tre votazioni. Solo due Presidenti sono stati eletti al primo colpo (a parte De Nicola, ma era una condizione ben diversa). Uno è stato eletto alla ventitreesima votazione, un altro alla ventunesima. Il ripetersi delle cilecche, quindi, non è una novità. E invece no, c’è del nuovo. E non è bello.

Il succedersi delle votazioni a vuoto, nel passato, era un attestarsi insufficiente su candidati di bandiera. E quei nomi erano effettivamente delle bandiere, per le loro idee e per la loro storia avevano un significato, pur non essendo sufficienti i voti per eleggerli. Oggi, per la prima volta, vediamo garrire una bandiera condivisa: bianca. Il nulla. Non hanno altro da dire se non che non sono pronti a dire nulla. La condizione disgraziata che l’Alighieri immagina per gli ignavi, nell’Antinferno: seguono una bandiera che gira vorticosamente e nulla dice. E di giravolte e bandieruole son esperti assai, al punto che il trasformismo depretisiano è da considerarsi dottrina d’immarcescibile coerenza. Si deve lasciare «questi sciagurati, che mai non fur vivi» e addentrarsi nell’Inferno per trovare le parole: «e ‘l modo ancor m’offende». Senza che alcuna «bella persona» si sia vista sulla scena.

Offende il modo in cui la politica si è suicidata, mostrando ignudo quel che il governo Draghi provava almeno a tener con le mutande: la maggioranza c’è, è stragrande fin dal primo scrutinio, come lo è quella che regge il governo, ma può essere tale solo a patto di non contare, non fare, non decidere nulla. Non basta che a guidare il governo ci sia una persona che deve tutto al proprio prestigio e alle proprie capacità e nulla alle forze politiche che lo sostengono? Ciò dovrebbe spingerle, se non altro per darwiniane ragioni di sopravvivenza, a trovare un nome condiviso con una storia politica o a non attendere un minuto di più nel confermare l’attuale tandem istituzionale, fra Quirinale e Palazzo Chigi.

Fuori da questo, da domani in poi, con l’abbassarsi del quorum, si apre una roulette russa rischiosa e il primo colpo che dovesse sfuggire ammazzerebbe prima la maggioranza e poi travolgerebbe tutto. E devono stare molto attenti perché oltre a non essere stati capaci di fare qualche cosa assieme sono anche incapaci di controllare veramente i voti delle loro rispettive truppe. Tenute assieme solo dal desiderio che nessuno le sciolga e le restituisca alla precedente disoccupazione improduttiva e ciacolante.

Siamo il Paese con il più alto debito pubblico e quello che prende più soldi regalati e più prestiti europei. La crescita prevista per il 2022 è inferiore a quella precedentemente stimata. Nulla di drammatico, anche perché nel 2021 siamo cresciuti più del preventivato, ma ci manca solo che si dimostri fragile la condizione che ha consentito la ripartenza e la cosa non passerà inosservata o senza dolore.

Pane e acqua, che Enrico Letta immagina debbano essere i confort di una riunione fra partiti della medesima maggioranza di governo, sono lussi eccessivi. Forse non hanno capito: dovevate essere pronti lunedì. Finora quelle schede bianche sono una resa, un arrendersi all’incapacità di fare la sola cosa che abbiate fatto e fate nella vita. So bene che non esiste una cosa omogenea e collettiva denominata “politica” e so che sono i qualunquisti a parlare di “politici”, ma dovremmo tutti anche sapere che ci sono passaggi in cui se si apre una botola ci casca un mondo. E se succede frequentemente, come capita in Italia, poi ci casca il Paese.

Davide Giacalone

Pubblicato da La Ragione del 27 gennaio 2022

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