Politica

Bende e bavagli

Due bende e due bavagli, come due pesi e due misure. Questo solo si può dire di larga parte della stampa italiana, che oggi strilla contro l’eventualità di non potere più copiare dagli atti di procura, ma che si guardò bene dallo scandagliare, con mezzi propri, casi clamorosi, come quello della privatizzazione di Telecom Italia, poi degli affari sporchi all’estero, per finire con gli spioni assoldati da questa società e da Pirelli. Storie che non ripeto, perché i nostri lettori, al contrario di altri, le conoscono, avendole lette in tempo reale (pubblicammo anche due libri), talché la tesi oggi esposta dal giudice delle indagini preliminari, sia riguardo al coinvolgimento dei vertici aziendali che al modo distorto in cui è stato trattato il capitolo degli interessi economici dei Democratici di Sinistra, non è altro che l’approdo là da dove noi eravamo partiti.

Prima di andare avanti, però, parliamoci in modo chiaro: questa è una storia che, dal punto di vista giudiziario, non va da nessuna parte. E’ una storia che non trova la sua degna conclusione, ma, al tempo stesso, finita. Le indagini dovrebbero cominciare oggi, a otto anni di distanza dalla loro prima partenza. Per concludersi quando? Una seconda cosa, deve essere chiara: le oltre trecento pagine depositate dal giudice dell’udienza preliminare (che ha accolto i patteggiamenti di alcuni imputati), non sono un atto d’accusa contro Marco Tronchetti Provera e Carlo Buora, ma contro la procura di Milano. Taluni si stupiscono che io lo scriva, così come si stupirono leggendo l’articolo in cui commentavo la sentenza, e chiedono: ma non avevi scritto che, rispetto all’opera degli spioni, i vertici aziendali erano incapaci o mandanti? Certo, ma è un problema di civiltà del diritto: finché lo scrivo io è un conto, e me ne assumo le responsabilità, ma se si leggono le carte processuali si è tenuti al loro reale significato, senza stiracchiarle a piacimento. Sicché, lo ripeto: ad oggi Giuliano Tavaroli e altri hanno ammesso di avere commesso dei reati, patteggiando, Tronchetti e Buora non sono neanche indagati.

Torniamo ai bavagli, così come anche alla sceneggiata dei post-it gialli. Il gup fa notare che fra le carte sequestrate agli spioni Telecom ce n’erano alcune riguardanti l’Oak found, un fondo radicato nei paradisi fiscali e che si pretendeva essere a beneficio di Massimo D’Alema. La procura mise quelle carte a marinare, sostiene il giudice, fin quando, sei mesi dopo, intervenne la legge Mastella e il loro contenuto condotto al rogo. Ricordiamo due cose: a. contro quella legge nessuno emise un fiato e la maggioranza parlamentare fu vastissima; b. nessuno protestò, fra i pretesi imbavagliati di oggi. Neanche noi, ed a giusta ragione: sapevamo già e già avevamo scritto che una grassa fetta della torta era finita agli uomini della sinistra. Non ho mai creduto che siano finiti a D’Alema. Le cose sono andate, credo, in modo istruttivo.

Ricordate Primo Greganti, il compagno G. che, detenuto, non parlava? Grazie, tutti i suoi interessi, le sue amicizie e il suo stesso onore erano nelle mani dei compagni! Il compagno G. sostenne che i soldi li prendeva per sé, non per il partito, e che ci comprava case. Fu l’unico caso (a mia conoscenza) di un pubblico ministero, Gerardo D’Ambrosio, che si diede da fare per dimostrare che l’indagato diceva il vero, autoaccusandosi, e lo fece recuperando un rogito notarile. Immagino che la cosa non abbia alcuna relazione con il fatto che detto procuratore divenne poi parlamentare, eletto dagli stessi compagni di Greganti. Avete presenti Giovanni Consorte e Ivano Sacchetti, quelli che guidavano Unipol e si fecero dare, per la vendita di Telecom a Tronchetti Provera, una paccata di milioni? Ecco, sono l’esatto contrario. Questi, i soldi, li hanno proprio intascati personalmente. A me non parve che il comportamento di Greganti fosse ammirevole, perché, al mio paese, quella è omertà, ma quello di Consorte e Sacchetti omologa la sinistra a qualsiasi altra formazione che ospiti faccendieri, con tanti saluti alla pretesa, berlingueriana e mai esistita “diversità”.

Il punto non è Oak Found, che essendo il “Fondo Quercia” solo in caso di demenza avanzata ed irrimediabile poteva essere il salvadanaio del partito della quercia, il punto è che con la scalata dei capitani coraggiosi si consentì di portare all’estero la proprietà di Telecom, e i soldi poi da lì defluiti sono giunti dove nessuno saprà mai, specie se indaga con tale lena e ficcante capacità. Tutte queste cose, però, noi le abbiamo già scritte, mentre quelli che non vogliono il bavaglio erano afoni.

Infine, non conosco, naturalmente, l’intera e sterminata produzione spionistica fatturata a Telecom e Pirelli, ma, in procura, mi mostrarono alcune delle cose che mi riguardavano (essendo stato da loro spiato e intercettato), così come ho sentito altri, che hanno vissuto analoga esperienza, e ne ho tratto la seguente impressione: non era la Spectre, era roba casereccia, troppo per un solo paio di corna, ma assai meno di quel che vogliono far credere (continuando ad agire nel medesimo settore). Hanno fatto danni enormi, senza dimenticare quelli alle due società e ai loro azionisti. E, anche in questo caso, un giorno qualcuno si domanderà come mai non si sono attivate le tutele previste dalla legge. Naturalmente sarà tardi e, naturalmente, scopriranno l’acqua calda, visto che anche di questo ci occupammo, fin dal primo momento.

Certo che, oltre a essere afoni che non vogliono il bavaglio, certi grandi combattenti della libertà di stampa sono anche ciechi, che per sicurezza si bendano.

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