Politica

Berlusconi e Montezemolo

I due discorsi, quasi contemporanei, di Berlusconi e Montezemolo hanno, credo, un significato che va al di là dei molti commenti che ho letto. Meritano molta attenzione, perché attorno a quelle tesi si giuoca il futuro prossimo dell’Italia. Si tratta non di due politiche diverse, ma opposte. Due politiche opposte che pongono un problema serio alla sinistra.

Berlusconi si è presentato sul palco d’Assago mostrando di sé un profilo molto politico. Il suo intervento può essere condiviso o meno, ma non si può dire che non sia un intervento politico, o che si sia limitato alla propaganda ed agli slogan. Insomma, la sua pienezza politica è sancita non solo dal ripetuto successo elettorale, ma anche dalle parole dette ieri. Che cosa ha detto?

In più di due ore, naturalmente, ha toccato molti temi, ma tutti riconducibili ad una tesi di fondo. Tesi che così si spiega e comprende: all’inizio degli anni novanta l’Italia scelse, a larghisima (improvvida) maggioranza, di darsi un sistema che voleva essere maggioritario e bipolare, di quel sistema Berlusconi divenne il maggiore e più fedele interprete, anzi, si può ben dire che il maggiortario all’italiana si regge su di lui. Lo si dimostra anche a contrario: nella legislatura ove il centro sinistra deteneva la maggioranza si successero tre governi, come era costituzionalmente legittimo, ma com’era incoerente rispetto alla proclamata adesione ai principi maggioritari (con annesse liste che recavano il nome del futuro capo del governo).

Ecco, su quella posizione Berlusconi insiste. Vede, perché non può non vedere, le difficoltà ed i processi disgregativi interni alla sua maggioranza, ma avverte gli alleati che non esiste altra strada che la sua presidenza, questo governo, questa maggioranza, ed il programma del 2002. Allo schieramento opposto, il centro sinistra, attribuisce tutte le colpe, e si sforza di vederne i difetti, tralasciando le posizioni che più si avvicinano, almeno su taluni tempi, a quelle della maggioranza. Si comporta, insomma, come in un sistema bipolare, compiuto.

Montezemolo sta sulla sponda opposta. Indica gli anni del presunto bipolarismo come quelli dello scontro, e nello scontro vede un danno per il Paese. Invita al dialogo ed alla concertazione con le parti sociali, richiamandosi esplicitamente all’accordo del 1993, figlio di un quadro politico del tutto diverso. Si rivolge alla forze politiche tutte, e fin qui è normale, ma incitando al consenso su un piano di rilancio che abbia un respiro più lungo di quello che segna il ritmo di una sola legislatura, e questo normale non è, perché significa (volendo escludere che Montezemolo abbia chiesto agli italiani di votare solo per Berlusconi) che rompe la logica bipolare ed invita ad un ben diverso spirito di convergenza. Il discorso verso i sindacati, del resto, va nella stessa direzione.

Quel che conta non è l’opposizione (più che giusta) di Montezemolo al federalismo, nelle forme fin qui esaminate dal Parlamento e volute dalla maggioranza. Quello è, tutto sommato, un dettaglio. La Confindustria di Montezemolo non dissente su una legge o su una riforma, dissente sulla natura stessa del sistema politico che ha di fronte. E qui nasce il problema per la sinistra.

A sinistra, sbagliando, como scrivemmo e dicemmo per tempo, si fece un gran applaudire attorno al maggioritario, così come, commettendo un assoluto errore politico e compiendo un passo moralmente infame, si plaudì alla demolizione giudiziaria della prima Repubblica. Poi giunsero le sconfitte elettorali. Da quel momento in poi la riflessione politica si è anchilosata, così che, oggi, da sinistra, si accavallano i consensi a Montezemolo, senza che si riesca a comprendere a cosa esattamente si riferiscano. E’ maturata, a sinistra, una diversa opinione sul maggioritario? Si sentono pronti ad un dialogo con la maggioranza? Lo domando perché non lo so.

Se così non stessero le cose (e dubito assai che così stiano), allora non capisco l’entusiasmo. Perché se così non stanno le cose Montezemolo ha detto, più o meno, che gli imprenditori italiani si apprestano a fare a meno della politica, nel senso che ritengono di interpretare gli interessi collettivi meglio di quanto non faccia la politica. Tesi, ai miei occhi, pericolosa oltre che ardita. Ma che alle orecchie della sinistra dovrebbe suonare come un’insopportabie cacofonia.

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