Il problema non è Emma Bonino, ma la sinistra italiana. In discussione non c’è il diavolo (tanto non ci credo), ma l’inferno in cui si trova il Partito Democratico. Passato dalla tradizione comunista, che fu partitocentrica (perché leninista) e bacchettona, all’essere in balia delle toghe e delle pompe. E non ci si dimentichi del centro destra, dove i temi etici sono l’occasione per pubbliche grida e private incoerenze.
Rovistare nel passato di un candidato, non per raccontare i suoi amori giovanili, ma le sue battaglie politiche, è non solo lecito, ma doveroso. Nel caso della Bonino, è anche un piacere che le si fa, perché non desidera altro. La campagna abortista, fatta con le mani e non solo con la bocca, c’entra poco con il lavoro per cui è candidata, ma è un buon argomento per valutare la coerenza di una persona. E quella della Bonino è a prova di bomba. Complimenti. Il punto politico è ben altro: come le premesse dimostrano, fra qualche giorno il Pd sarà interamente nelle mani di Marco Pannella, che, con tutto il rispetto per la candidata, è il vero artefice della genialata. Ciò significa che non solo si beccheranno la Bonino quale avversaria, in Lombardia, non solo si troveranno a far campagna elettorale assieme a Tinto Brass, la cui passione per il retro non avrebbe indotto a prevedere che facesse la fine di Cicciolina, sicché dovranno applaudire quando egli reclama “eros e libertà”, ma dovranno anche darsi di gomito quando dice di volere le due candidate in un film sulle ammucchiate sessuali. Che se lo avesse detto un riprovevole berlusconiano l’ammucchiata l’avrebbero già fatta, ma su di lui.
Cari compagni, questo è solo l’antipasto. Vi ritrovate con Di Pietro che vi detta la linea sulla giustizia e Pannella a farvi da guida politica. Siete nei guai. E, tra parentesi, nessuno dei due ha nessuna intenzione di vincere le elezioni, perché loro guadagnano quando perdete voi. Siete le vittime designate, e vi tocca pure far la faccia felice.
In quanto allo specifico, cui non voglio sfuggire, ai radicali vengono riconosciuti un sacco di meriti che non hanno, e ne vengono negati altri, che appartengono loro. Non furono loro a presentare e far approvare il divorzio, che fu ed è un vero diritto civile. Furono liberali e socialisti. L’aborto, invece, cui diedero un importante contributo, non è un diritto civile, semmai un dramma. Sono favorevole alla legge (sempre migliorabile, ovviamente), ma l’interruzione della gravidanza non è mai una conquista, piuttosto una sconfitta. I radicali sono stati un pezzo rilevante della sinistra antitotalitaria, quindi anticomunista, e Pannella il loro egocentrico e straordinario interprete. Ma l’idea di chiamare “diritti civili” le sconfitte della cultura e della ragione, dall’aborto alla droga, è di quelle che lasciano una lunga traccia negativa.
E’ giusto contestare, alla sinistra, la natura di quest’incredibile sudditanza, come opportuno avvertirli del pericolo (ma lo sanno di già, poverelli). Non, però, per inseguire un presunto e largamente inesistente elettorato cattolico (Facci ha ragione), casomai per sottolineare la crisi d’identità che colpisce la sinistra, ma anche la cattolicità. Insomma, è chiaro che per un fedele non è facile votare per chi pompava via i feti dall’utero, giacché la vita è un dono divino, con quel che segue. Ma neanche dev’essere sollazzevole osservare il corteo di capi centro destri, che si recano a baciar le pantofole e dirsi interpreti delle volontà curiali, laddove sono serialmente divorziati e risposati. Non ho nulla da obiettare, sono affari loro e, lo ripeto, il divorzio è un vero diritto civile, perché è meglio vivere assieme, felici e per sempre, ma se uno picchia l’altro ha diritto ad uscire dal ring. Per i cattolici, però, il matrimonio è un sacramento, indissolubile. Quindi, si pone un problema di coerenza e credibilità, che, in politica, dovrebbero essere beni preziosi. Invece perdono valore, giorno dopo giorno.
Un ultimo particolare, che sembra essere stato dimenticato, nel furore delle polemiche superficiali: la candidata del Popolo delle Libertà, Renata Polverini, è una sindacalista, che viene dalla destra, che non si è certo allineata alla Cgil, ma che resta una sindacalista, ovvero una persona convinta che si possano difendere i diritti dei lavoratori considerandoli cosa diversa da quella dei cittadini in quanto tali (lei, come tutti i sindacalisti di questo mondo, li considera coerenti, e forse anche coincidenti, ma la distinzione risiede nell’idea stessa che si ha di società). Ciò la rende un perfetto catalizzatore di voti di sinistra. Diritti individuali (borghesi), da una parte, e diritti sociali (di classe), da quell’altra. Nel Lazio, insomma, ci godremo l’ennesimo prodotto bislacco del bipolarismo pencolante: il bipolarismo invertito.