Per niente, caro Mughini. Ieri domandavi quanto ciascuno di noi si senta entusiasta degli schieramenti politici nati nel 1994, del nostro bipolarismo isterico e muscolare, ed io ti rispondo: per niente. Ma si deve fare attenzione a non cadere nel mugugno malmostoso, a non ripetere l’antico intercalare di Gino Bartali: l’è
tutto sbagliato, l’è tutto da rifare. Tu hai ragione nel dire che le tifoserie si comportando come fossero sciiti e sunniti, ma quelli, almeno, hanno un folle fondamento religioso a reggere l’odio, da noi, invece, è l’assenza d’idee e di coraggio a mascherarsi con lo scontro continuo e perpetuo. Gli uni si reggono grazie ai proclami contro gli altri. Bella roba.
Ci siamo arrivati perché il mondo politico della prima Repubblica commise il peccato veniale di finanziarsi in modo illecito, varando leggi ipocrite e che non rispettava, ed il peccato mortale di non capire le conseguenze del crollo del muro di Berlino. Non eravamo più la frontiera fra due imperi, venivano a mancare le ragioni che avevano fatto tollerare tante nefandezze, ci trovavamo marginali ed affidati a noi stessi. Fu la fine: i partiti che avevano vinto le elezioni nel 1992, nel 1994 non erano neanche sulla scheda. Un golpe, per niente innocente. Negli anni immediatamente successivi abbiamo assistito al saccheggio della cosa pubblica, come mai si era visto prima. Le tangenti sono spiccioli, a confronto delle ricchezze sottratte agli italiani negli anni immondi delle privatizzazioni. Se volete, rifacciamo i conti. Chi favorì e governò la macellazione civile ed economica dell’Italia? Fu la sinistra. Talora in modo diretto, come con il governo D’Alema, talora da forza commissariata, come con Oscar Luigi Scalfaro o Carlo Azelio Ciampi. Ecco, nel 1994 Silvio Berlusconi ebbe un merito storico, e ripeto, storico: si mise alla testa degli italiani che non ci stavano e dimostrò che l’intreccio fra finanza e comunisti poteva essere battuto.
I tifosi sono in gran parte beoti, non perdono tempo a studiare la storia ed i singoli problemi. Per loro basta l’odio antropologico. Si sentono migliori, credono di avere più quotata stoffa morale. Sono solo degli imbecilli, che impediscono alla sinistra d’essere quel che dovrebbe: una forza antitotalitaria, dotata di cultura di governo. In loro Berlusconi ha i suoi migliori alleati, perché basta mostrarli per far passare agli elettori la voglia di mandare a casa l’accozzaglia d’incapaci, quando non frutto di puttanaio, che popola il Parlamento.
Quella l’origine del problema, caro Giampiero, e queste le ragioni del suo fossile protrarsi. Resta il fatto, però, che con questa roba non si governa. Le coalizioni sono solo salsicce dentro le quali si mette tutto quello che detesta la salsiccia avversa. Taluni, di tanto in tanto, traslocano da un insaccato all’altro, per aggiungere il gusto di stallatico. Il nostro sistema politico è tarato solo sulle giornate elettorali, è concepito per vincere la guerra delle schede, dopo di che, il giorno appresso, si squaglia. Oggi il centro destra ha una vasta maggioranza parlamentare, e guardate la scena!
Ci sono vie d’uscita? Certo, ma dipendono dalla caratura degli uomini. E’ chiaro che tutto si regge attorno a Berlusconi: è lui che coalizza la destra ed è lui che fornisce alla sinistra una ragione per esistere. Sostenere che la soluzione consiste nella sua eliminazione, però, è demenziale. Che vuol dire? Aspettiamo che si stufi, o passi ad altra vita? O lasciamo alle procure il lavoro sporco, che tanto ci provano da quindici anni? La mattina dopo ci sarebbero solo postberlusconiani, da una parte e dall’altra. Berlusconidi, senza neanche la grandezza di Silvio. Invece tocca all’opposizione affrancarsi dalla logica della contrapposizione e dedicarsi alla costruzione della proposta. Primo provvedimento: licenziare Di Pietro, che è come tenersi una sanguisuga reazionaria nelle mutande. Non conta in quanti si è, ma dove si può arrivare. E tocca alla maggioranza far crescere protagonisti che non siano i Fregoli del trasformismo, pronti a dire tutto ed il suo contrario, ma candidati a guidare un’Italia che chiede d’essere governata, protetta, rassicurata. Gente che abbia una parola, una vita, un’idea. Non una valigiata di possibili alternative.
Insomma, prima o poi si tornerà alla politica. Speriamo non troppo tardi. Nel frattempo, giorno dopo giorno, denunciamo i mali ed indichiamo le possibili soluzioni che altro, di meglio, non siamo nelle condizioni di fare.