Lungi dall’essere imbarazzato o vergognarsi, Filippo Taddei, nuovo responsabile del Partito democratico per l’economia, deve portare la bocciatura come una medaglia. A patto, però, di saperne trarre la giusta lezione. A patto di capirne le ragioni e tradurle in idee politiche. Dubiti, semmai, di quel che ha detto circa la tassazione degli immobili. Perché è nelle idee che si traducono in realtà che si vede se uno ha studiato, se ha solo studiato, se ha pure capito e se dopo avere capito è anche in grado di cambiare le cose.
La bocciatura gli è arrivata da un concorso per l’abilitazione all’insegnamento universitario. I vincitori, del resto, non diventano professori, non vanno in cattedra, ma sono “abilitati”. A sceglierli sono state diverse commissioni tematiche, composte da professori e insediate presso il ministero dell’istruzione. Andate a leggere i loro giudizi. Quelli che portano alla bocciatura e quelli che conducono alla promozione: è il trionfo del burocratese professorale. Tirati via con il copia e incolla. Valutazioni su centinaia di opere che forse non sono scientifiche, forse non valgono un tallero, o forse celano tesori, ma che, di certo, non è la commissione ministeriale a potere stabilire (dopo averle lette tutte?) se fra i candidati si celano futuri Nobel o solo chiappe rubate al lavoro impiegatizio (escluderei l’agricoltura, che qualche competenza specifica la richiede). Provate a muovere qualche passo fra quel diluvio di presunzione giudicatrice e capirete in cosa consisteva la bussola: vengono abilitati, preferibilmente, quelli che sono già al seguito di qualche cattedra. Che sono tantissime. Di chi ha dimostrato talento, vuoi nella professione o nelle pubblicazioni, di chi ha saputo rivolgersi a un pubblico più vasto, e non solo alle case stampatrici per concorsi universitari, le commissioni dicono che si faranno, ma ad oggi non sono idonei. E ce n’è, lì in mezzo, di gente di valore.
Taddei, quindi, in un colpo solo ha dimostrato due cose: a. non è raccomandato; b. non fa parte di una cordata professorale. Al posto suo me l’attaccherei sulla giacchetta. Però, ora, dica qualche cosa veramente de sinistra, innovativa, rivoluzionaria, capace di offrire una speranza ai giovani che valgono e che non tumuli l’Italia sotto la lapide delle corporazioni e delle commissioni: via il valore legale del titolo di studio, università in concorrenza fra di loro, vasto programma di privatizzazioni. Dopo di che stia sicuro che in cattedra ci andranno quelli che portano valore e attirano studenti (paganti in proprio o mediante borse di studio), mentre quelli la cui ultima pubblicazione sono le partecipazioni di nozze, e la prossima i necrologi, dovranno sgomberare. Perché costano e non rendono.
Piuttosto, sia preparandosi ad andare in cattedra, sia lavorando alle idee economiche del Pd, metta in dubbio la sua convinzione che si debbano ulteriormente tassare gli immobili, di un aggiuntivo punto di pil, in modo, lui dice, da far scendere la pressione fiscale sui redditi. Non funziona. L’ultimo ministro dell’economia che sostenne l’urgenza di far passare la tassazione dalle persone alle cose, non ci crederà, ma fu Giulio Tremonti.
Non funziona perché qui non siamo negli Usa o in Uk, qui i proprietari d’immobili non sono le società immobiliari, ma le famiglie. La sua idea, quella di Tremonti, quella di chiunque voglia dire una cosa ragionevole, ma banale, è giusta: alleggeriamo il mondo della produzione e spostiamo il peso sul possesso delle cose. Il problema sono i tempi e i modi. Se per propiziare l’operazione prima aumento il peso sugli immobili e poi diminuisco l’Irpef nel frattempo muore quella bestia da soma chiamata “contribuente”. Se faccio il contrario (prima diminuisco e poi aumento) mi salta il deficit. Non se ne esce senza prima comprimere il bisogno di gettito. Cosa che si può fare abbattendo il debito, mediante dismissioni di patrimonio pubblico. La patrimoniale va applicata allo Stato, non alle famiglie. L’Italia è primatista mondiale di avanzo primario, sia per durata che per consistenza. Poi ce lo mangiano gli interessi. Se non li fermiamo il resto son gargarismi.
Quando ci saremo riusciti e avremo spostato i pesi (evviva), si dovrà fare attenzione ad alcuni dettagli: mettere la patrimoniale su chi ha venti anni di mutuo da pagare, quindi è proprietario per modo di dire, è ingiusto; punire il possesso e tassare la vendita è ingiusto; ritassare il valore su cui ho già pagato le tasse è ingiusto, semmai il suo incremento e rendita; mentre promuovere le vendite per sfuggire alle patrimoniali è la ricetta sicura per abbattere il patrimonio delle famiglie, portandoci a effettiva bancarotta. E, visto che lavora presso il partito che regge il governo, osservi che finanziare gli sgravi mediante aumento delle aliquote è una truffa.
Non si deprima per la bocciatura, ma conservi un po’ di tempo per studiare con più cura.
Pubblicato da Libero