Silvio Berlusconi dice che il voto parlamentare, sulle questioni libiche, non gli fa paura. Per forza: deve fare paura a tutti. S’è creata una situazione difficilissima, che non risparmia nessuno. Ha ragione Stefano Folli: una crisi di governo sulla politica estera sarebbe un suicidio in mondovisione. Ma sarebbe anche un’altra cosa: la condanna dell’operato di Giorgio Napolitano. La cosa è così grave da essere taciuta, nonostante la sua evidenza.
Oltre a lanciare esplosivi all’indirizzo della Libia si stanno sganciando alcune bombe a grappolo sulla nostra Costituzione, mentre quelle a mano scivolano nella manica di chi le palleggia. L’intera faccenda è stata gestita in modo bizzarro, ma la divisione fra il Pdl e la Lega ha prodotto un’immediata conseguenza sul fronte opposto, dividendo il Pd dal Quirinale.
L’occidente è stato trascinato nella guerra libica dall’iniziativa di francesi e inglesi. Gli stessi statunitensi si mostravano scettici, mentre i loro vertici militari erano contrari. In Italia la posizione defilata del governo, evidentemente non favorevole all’intervento armato, ha avuto un innaturale contrappeso nell’azione di Napolitano, fin dall’inizio favorevole agli insorti. Già questo era un pericoloso squilibrio. Pestando i piedi, e facendo un favore agli americani, s’è riusciti a portare il comando in sede Nato, stoppando il protagonismo bombarolo di Nicolas Sarkozy. Nel frattempo ci siamo beccati un’ondata di clandestini, innanzi alla quale l’Unione Europea ha mostrato la propria consistenza politica: un semolino. Posto ciò, ci si è accorti in fretta che la guerra sarebbe stata né breve né facile, nel mentre le supposte ragioni umanitarie venivano ridicolizzate dal silenzio e dalla distrazione con cui s’è accompagnato il massacro dei manifestanti in altri Paesi. Non occorre essere strateghi per rendersi conto che le guerre si fanno se convengono, non in base ad astratti criteri di giustizia e umanità. Se s’invocano questi ultimi, poi ci si trova nei guai. E ci siamo.
I nostri interessi in Libia sono molti, siamo i più esposti. Una volta abbandonato Gheddafi, e una volta scoperto che i suoi oppositori non sarebbero andati da nessuna parte, se non sostenuti dalle armi occidentali, è comparso uno spettro: la divisione della Libia. Per noi sarebbe una tragedia: la gran parte dei pozzi petroliferi si trovano dove è divenuta forte l’influenza di francesi e inglesi (avendo, questi ultimi, strisciato ai piedi del colonnello più di quanto si sia fatto noi), mentre dal lato della Tripolitania, dove sopravviverebbe Gheddafi, noi saremmo né più né meno che dei traditori. A ciò si giungerebbe se ci si attenesse, come vorrebbe Pier Luigi Bersani, al solo compito di difendere la pelle dei ribelli. Quindi, constatata l’incapacità americana di porsi alla guida dell’occidente (è questo il vero problema), non restava che unirsi ai bombardamenti e cercare di chiudere la partita. Sarà crudo realismo, ma non c’è modo di cuocerlo.
Ancora una volta Napolitano ha voluto essere in prima linea, intestandosi la scelta. Ha voluto essere il vincitore. L’unico modo per far finta di non vedere che tutto ciò fa a pugni con la Costituzione consiste nel far valere la tesi che si tratta del “naturale sviluppo della missione, nel solco del voto parlamentare di marzo”. E, difatti, sono le testuali parole del Presidente della Repubblica. Capita, però, che Umberto Bossi punti i piedi, mentre il fronte cattolico fa il suo mestiere di sempre, dicendosi contrario alle armi. A questo punto la sinistra fiuta la possibile crisi e Bersani chiede che ci sia una discussione e un voto parlamentare. Ha ragione, ma è l’esatto contrario di quel che sostiene Napolitano, fin qui unica stella fissa nel firmamento dell’opposizione. Lo ha capito bene la Lega, che ne approfitta e rincara la dose.
Perché, allora, dovrebbe aver paura solo Berlusconi? Un governo che perde la maggioranza va a casa. Non è una tragedia. Ma cosa capita al Presidente della Repubblica che si trova smentito dal Parlamento? Il governo ha avuto posizioni oscillanti, ma quella che verrebbe bocciata sarebbe la linea ferma tenuta dal Quirinale. Ci ha pensato, Bersani? Sarà curioso vederlo invocare una crisi contro il Quirinale.
I problemi sono due: sul fronte estero una guerra aperta al buio, sul fronte interno il deragliamento costituzionale. Far finta che sia solo un problema del governo, e di chi lo guida, non servirà a scantonare.