Politica

Boomerang

L’unico che può ragionevolmente festeggiare la sconfitta del governo, ieri alla Camera, è il nuovo parlamentare europeo cui andrà il seggio in più, assegnato dal nuovo Trattato. Un uomo dell’Udc. Per il resto, c’è poco da manifestare contentezza: il governo incassa una sconfitta irrilevante (si era rimesso all’Aula ed era questione di nessun peso), ma addossa ai finiani la responsabilità dell’accaduto, mentre l’opposizione non incassa un bel niente, temendo che una crisi così innescata porti dritto alle elezioni, viste con comprensibile diffidenza dal gruppo dirigente della sinistra. Insomma, una manovra avviata per logorare e frantumare la maggioranza si sta dimostrando esiziale per l’opposizione. Un boomerang. Sfugge a molti la regola non scritta: l’eventuale uscita di scena di Silvio Berlusconi porterà con sé l’esplosione d’ambo gli schieramenti. La sinistra si mette avanti con il lavoro.

Pier Luigi Bersani prova a definire i confini di una futura maggioranza, ma è come se li disegnasse sull’acqua. Dice di non volere rifare l’Unione, anche perché fu fallimentare. Non aggiunge la cosa più vera: ne fu capace solo Romano Prodi. Ma stabilisce che l’alleanza con la sinistra ecologica e libertaria, il gruppo di Nichi Vendola, non deve comportare l’esclusione del rapporto, anche governativo, con Pier Ferdinando Casini. A Bersani sfuggono, o finge di non capire, due cose: a. Casini si lascia aperta ogni strada e sa benissimo, perché le regionali lo hanno dimostrato, che allearsi con la sinistra è un modo per perdere voti; b. non solo Vendola non si oppone affatto ad un rapporto con Casini, ma il suo candidato per il comune di Milano, Giuliano Pisapia, ha fatto appena in tempo ad essere eletto che già dichiarava il suo interesse al dialogo con l’Udc.

Quella che è in discussione, quindi, non è l’ipotetica alleanza antagonista dell’attuale maggioranza, che sarà disegnata secondo il non raffinato principio: chi non è con lui stia con noi. E’ in discussione chi guida la sinistra. Vendola vuole le primarie di coalizione, e le vuole subito, perché punta alle elezioni (come Berlusconi e Umberto Bossi) e perché mira a prendere il posto di Bersani.  Ed è così poco vero che il gruppo di Vendola sarebbe indirizzato a prendere il vento dell’antipolitica che è toccato proprio al governatore pugliese, sia pure trascinato per i capelli, cominciare a dire che Bebbe Grillo è più ostile che amico. Mentre Bersani non ha lo stesso coraggio nei confronti di Antonio Di Pietro, pur non avaro di coltellate alle spalle dei presunti alleati.

Tutto questo capita perché la scommessa delle opposizioni s’è dimostrata azzardata, avendo puntato tutto sul disfacimento della maggioranza a seguito dalle sortite di Gianfranco Fini. Non bastava e non basta che il governo cada, perché il Presidente della Repubblica possa imboccare una strada diversa da quella delle elezioni, è necessario che si dimostri l’impossibilità di ricostituire la maggioranza e la disponibilità di una sua parte a prendere parte ad altri governi. Questo poteva ottenersi o con una rottura del rapporto fra Pdl e Lega, oppure con la fuoriuscita di un consistente numero di parlamentari ex democristiani. Non è successa né l’una né l’altra cosa. Il che non comporta una più lunga vita governativa, ma un più netto bivio: o questa maggioranza o lo scioglimento anticipato.

Per propiziare lo sgretolamento la sinistra, assieme agli altri oppositori, avrebbe dovuto presentare un disegno condiviso di riforma elettorale e un provvedimento alternativo a quello del governo per stabilizzare i conti pubblici. Invece sulla prima cosa sono divisi in diecimila fazioni e sulla seconda hanno adottato una tattica suicida, chiedendo l’immediata approvazione del testo governativo, salvo cavalcare ogni rifiuto dei tagli alla spesa (fin qui più timidi che eccessivi). Risultato: su cosa mai lo si dovrebbe costruire, un governo diverso e privo di legittimazione elettorale?

Ecco perché non festeggiano la sconfitta governativa di ieri, perché quello è esattamente lo schema che porta alle urne. Pericolose per tutti, certo, ma in particolare per uno schieramento non solo variopinto e disarticolato, ma anche dedito alla decapitazione del suo (immaginario) capo.

Detto ciò, dalle parti del centro destra c’è maggiore consapevolezza delle convenienze e, al netto di qualche sceneggiata, si tende a mantenere una formale unità. Che, però, non è lo specchio dell’omogeneità politica e dell’unità d’intenti. Quel che la sinistra sperava accadesse prima, quel che Fini ha presuntuosamente cercato d’intestarsi, potrebbe verificarsi e detonare dopo, nell’approssimarsi della partita per il Quirinale. Ma sarebbe, ove accadesse, una misera consolazione, visto che la partita si svolgerebbe lontano dai perimetri di quella sinistra che continua a svirgolare tutti i traversoni serviti da Giorgio Napolitano. Giocatore che dimostra una giovanile volontà di far vincere alla propria squadra almeno una partita, nella storia della Repubblica.

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