Politica

Bossi, Maroni e Papalia

Ci sono pubblici ministeri che si ritengono semi dei, intangibili ed inattaccabili, quasi devi ringraziarli se si degnano di metteri le manette.

Così come ci sono stati anni in cui bastava sollevare un dubbio sulla legittimità di certe inchieste, e di certi provvedimenti restrittivi della libertà personale, per sentirsi sommergere dall’onda ottusa del conformismo codapagliante, pronto a darti del sovversivo e del distruttore della civile convivenza.

Adesso ti trovo un leader politico, Umberto Bossi, che tira pubblicamente in ballo un magistrato, lo fa a sproposito e prospettando l’ipotesi che costui sia allontanato dal consesso civile, senza che la cosa desti altro che qualche reazione rituale. Con il che si pongono, fra gli altri, tre problemi, che esemplifico in tre nomi: Maroni, Papalia e Bossi.

Maroni diede già prova di sé al governo, sia in termini di preparazione e lucidità verso il Consiglio dei ministri ed il suo presidente. Sono questi gli elementi che sconsigliano di procedere al secondo tentativo. Maroni, poi, essendo stato accusato anche di scarsa fedeltà nei confronti di Bossi, ed avendo affrontato un congresso leghista nel corso del quale gli fu anche impedito di parlare, si sottopose ad un corso accelerato di acritica accettazione delle volontà del suo capo. Fu durante questo tirocinio riabilitativo che divenne presidente del sedicente parlamento del nord e capo delle camicie verdi. Due iniziative politiche non accompagnate ed assistite né dall’acume né dal buon gusto.

Papalia è il capo della procura che ha messo Maroni e Bossi sotto inchiesta, accusandoli di reati gravissimi e miranti a sovvertire l’ordine democratico. I pubblici ministeri avranno pure avuto le loro ragioni, ma spiace che questa vicenda si trascini senza finire in archivio, o passare volocemente al vaglio di un collegio giudicante. E’ evidente a tutti che il perdere tempo finisce con l’assumere un sapore ed un ruolo politico.

L’Inchiesta ha dell’assurdo, perché si pretende di accusare di attività sovversive due parlamentari i cui voti furono decisivi per tenere in piedi un paio di governi. L’inchiesta non ha futuro, perché le minchionerie non sono reato.

Bossi, infine, constata il venire meno di molti consensi; l’essere giunto al capolinea di una vicenda politica fatta di continui cambiamenti di campo e di sparate fantasiose ed interessanti, non meno che prive di serio contenuto politico; l’essere circondato da gruppi parlamentari in cui tutti possono fare tutto e stare dappertutto, perché tutti incapaci di far qualcosa e di avere identità.

Insomma, anche in questo caso le scorse elezioni hanno chiuso un catitolo. Qualche botto non bagnato si sarà pur conservato, ma esploso quello saranno chiusi i festeggiamenti.

Purtroppo lo strano miscuglio istituzionale nel quale ancora ci troviamo a vivere fa sì che si sia votato da quasi un mese, che sia sicuro il prossimo avvento del governo Berlusconi, ma che tale governo non sia ancora insediato (del che qualcuno dovrebbe informare Rutelli).

Condividi questo articolo