I più sensibili sono abbacchiati, nel centro destra, perché credono sul serio che i loro campioni siano stati imbrogliati, o traditi, comunque raggirati da un virtuoso della tattica: Matteo Renzi. I più riflessivi, invece, vedono che le cose stanno diversamente, anche perché il nuovo presidente della Repubblica non era il candidato preferito dal capo del governo e capo del Partito democratico. In un certo senso si potrebbe dire che il patto del Nazareno non vacilla perché messo in dubbio da uno o entrambe i suoi contraenti, ma perché ha perso una partita importante.
C’era un candidato (Giuliano Amato) che avrebbe reso vincente il Nazareno. Bastava votarlo. Votandolo, però, Renzi avrebbe accettato di arrivare secondo a un accordo di fatto, già stretto, fra il suo padre spirituale e i suoi padri carnali. Fra Forza Italia e la minoranza Pd, almeno quella che si riconosce in Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema. Taluno avrebbe potuto leggerlo come il trionfo del Nazareno, ma Renzi ha ben visto che quel troppo anticipato confluire gli toglieva dalle mani un valore: l’essere l’unico possibile contraente di un patto con Silvio Berlusconi. Per questo, in tanto moroteismo teorico, ci si ritrova con un andreottismo pratico: meglio due forni da cui rifornirsi che tre fornai con cui concorrere.
La faccenda non è affatto tattica, pertanto mi scuso del capoverso precedente, che può indurre a crederlo. La faccenda è politica. L’ammirazione per l’abilità tattica di Renzi è unanime, ma ingannevole. L’attitudine manovriera è eccellente, ma sarebbe manierismo inutile se non dotato di forza elettorale e politica. Tale forza, che è decisiva, deriva dall’avere liquidato la tradizione comunista e avere puntato all’elettorato moderato. Complice la debolezza delle forze che presidiano quell’area. Per rivolgersi a quell’elettorato Renzi ha saputo agitare temi e proposte, ma anche assumere toni rassicuranti e promettenti. Quando ha chiamato allo scontro lo ha fatto verso il passato della sua parte politica, in questo modo rivolgendosi a quanti non l’avevano mai votata.
Le anime abbacchiate, nel centro destra, sono evidentemente non capaci di capire la sostanza della questione. Ma fra chi ha ancora capacità d’intendere ve ne sono non pochi che hanno smarrito quelle di volere e di realizzare. Il problema del centro destra non è solo l’esporre una classe dirigente sempre più spremuta, ma l’avere smarrito il senso del succo, vale a dire il prodotto politico. Che è fatto di analisi, proposte, concretezza, ma anche di suggestioni, evocazioni, sguardo rivolto al futuro. Un po’ come l’amore: perdersi nel sentimento e ritrovarsi nella carne. Non mi dilungo nel descrivere cosa succede se si perde una delle due cose, o entrambe. Mi affido alla vostra esperienza. O ai ricordi.
Nel centro destra si moltiplicano i brontoloni e i finti tattici. Categorie di totale inutilità. Intanto vedo che si corre a dimostrarsi favorevoli alle unioni civili, dimostrando d’andare a rimorchio e di non capire dove porta la motrice. Si può essere contrari per ragioni religiose o tradizionaliste, il che spiana la strada per divenire predicatori. Ma si può essere contrari perché la si ritiene una soluzione bigotta e reazionaria, negatrice dei diritti individuali e prodromo della deriva giudiziaria per tutti gli affari privati. Nel qual caso si può farne oggetto di battaglia politica. Ma prima di passare all’azione occorre pensare. Ed è questo, mi pare, che un’area frastornata non riesce a fare.
Così si lascia orfana di rappresentanza efficace un’area elettorale che è stata costantemente maggioritaria, dal 1948 in poi. Costringendo ciascuno di quegli elettori a scegliere fra quattro ipotesi poco allettanti: 1. starsene a casa; 2. abbandonarsi alla protesta; 3. rassegnarsi alla mera testimonianza; 4. traslocare verso una sinistra senza legami con il passato comunista. La quarta opportunità è una buona cosa, ma le democrazie funzionano quando ci sono delle alternative ragionevoli e serie. Sicché speriamo passi in fretta la smorfietta offesa di chi si suppone fregato, ricordandosi che solo i fessi suppongono che il prestigiatore sia un mago. Gli altri, pur divertendosi, s’industriano a cercare di capire dove stia il trucco.