Politica

Buone urne

Convocare il referendum fu una furbata disperata, convocare le elezioni anticipate una cosa seria e dovuta. Nel primo caso i greci sono stati presi in giro e ficcati in una trappola, nel secondo si evita il raggiro e si offre una via d’uscita. Alexis Tsipras è sempre la stessa persona, ma la linea che segue, a parte il sempre presente desiderio di vincere e governare, è ben diversa. Questo provocherà rotture nel suo partito e nell’elettorato che lo votò. Ma, in fin dei conti, è il normale scorrere della democrazia.

I sistemi democratici, nelle loro infinite varianti, possono reggersi sulla scelta della persona chiamata a guidare il Paese (come accade negli Stati Uniti e, in maniera attenuata, in Francia), oppure della maggioranza politica che regga il governo (come accade in Germania e Italia, oltre che in Grecia). Poi ci sono i pesi e i contrappesi interni, per evitare i dispotismi, sia di persone che di maggioranze. Se capita che il prescelto per governare cambi idea e linea politica, lo si attende alla successiva scadenza elettorale. Negli Stati Uniti possono menomarne i poteri già dopo due anni e mandarlo a casa dopo quattro. Se a cambiare, invece, è la maggioranza, o la linea che segue, in quel caso è ragionevole che si torni alle elezioni. Le democrazie, sistemi forti ma delicati, si reggono sulla chiarezza della delega: se è alla persona, dura il tempo del mandato, potendosi poi correggere o confermare; se è a una maggioranza, dura il tempo in cui regge, nel momento in cui cambia si trona a votare. Per questo Tsipras fa bene. E per questo noi italiani mariniamo in una stucchevole anomalia: dal punto di vista formale la Costituzione è rispettata, ma dal punto di vista pratico e sostanziale siamo governati da una maggioranza del tutto ignota agli elettori del 2013, sia dal lato destro che dal sinistro.

Non aderisco alla teoria del “colpo di Stato”, ma mi pare piuttosto evidente il colpo basso alla credibilità e funzionalità del sistema istituzionale, abbandonato ai contorsionismi del trasformismo.

Votando, i greci, esprimeranno un giudizio su quel che è avvenuto negli ultimi mesi. Se riterranno che la linea giusta fosse quella di Yanis Varoufakis, non avranno che da consegnare la maggioranza alla sinistra della sinistra, magari pronta ad allearsi con la destra della destra. A quel punto il nuovo governo rinnegherà gli accordi presi dall’attuale e la danza ricomincerà da capo, portandoli fuori dall’euro. Se, invece, riterranno di aver già ballato abbastanza, dovranno provare a dare la maggioranza alla sinistra che ha fatto l’accordo con le autorità europee e a forze di centro, inducendoli all’alleanza. Saranno i greci a decidere, questa volta, però, al contrario che per il referendum, su un tema effettivamente nelle loro mani.

A tal proposito, mi sono sembrate curiose le obiezioni al voto del Parlamento tedesco, come se decidere di prestare, o meno, soldi alla Grecia significasse minarne la sovranità. Sarebbe come se sostenessi che le scelte della mia vita non sono rimesse alla mia libertà, ma alla decisione del direttore della banca. Il che, in effetti, può anche essere, se campo a debito. Il lato significativo, e preoccupante, di quel voto è tutt’altro: se avessero votato per negare i prestiti il governo sarebbe caduto, e questi sono affari dei tedeschi, ma l’operazione dell’Unione europea, nel salvare la Grecia, sarebbe crollata. Quello è il punto: decisioni che implicano sforzi e coinvolgono interessi comuni devono essere adottate con procedure comuni. L’esempio dei referendum sulla così detta “Costituzione europea” avrebbe dovuto insegnare che procedendo in quel modo non si va da nessuna parte. Questa volta è andata bene, al Parlamento tedesco, ma prima o dopo, su questo o su quel tema, in questo o quel Parlamento, andrà diversamente. Tale procedura, insomma, è garanzia di disUnione.

Pubblicato da Libero

Condividi questo articolo