Politica

Caduta libera

Essere ottimisti è una bella cosa. Cuor contento il ciel l’aiuta. Esemplare quel Tale che, caduto dai piani alti di un grattacielo, sentì l’amico gridargli: che fai? rispose: per ora piglio il fresco. Vero che a Palazzo Chigi il piano nobile è il primo, sicché anche a gettarsi non ci si fa troppo male, ma si saranno resi conto che le coperture, a volere essere generosi e a volere supporre che le banche non si mettano di traverso e facciano ricorso, ci sono fino alla fine dell’anno. E dopo? A un certo punto si smette di prendere il fresco e ci si spiaccica. C’è chi dice che Matteo Renzi non se ne curi, proteso solo a incassare i voti alle elezioni europee e amministrative. Può darsi. Sarebbe miope assai. Direi cieco. Ho l’impressione che qualcuno cominci a speculare sul grande botto dell’Europa. E questa volta non sono i mercati, ma alcuni governi.

L’atto più significativo della settimana non è il decreto di venerdì. Ragionevole che si punti il dito sui conti che in quello non tornano, ma sono spiccioli, rispetto al resto. Il passaggio chiave non è stato valutato con attenzione e ha accompagnato l’approvazione del documento d’economia e finanza: la lettera alla Commissione europea con cui si scomunica che il 2015 non sarà l’anno del pareggio strutturale (meno, quindi, del pareggio fra entrate e uscite) di bilancio. Serve più tempo. In quella richiesta di proroga c’è la sostanza di un Def che dovrebbe essere triennale, e invece vale un terzo del tempo previsto. Non è stata capita fino in fondo perché al governo comunicano da gran professionisti, mentre gli altri si sono confusi le idee da soli, facendo supporre che sia un bene, per l’Italia, battere i pugni e chiedere di sforare i parametri europei. Ecco, si dice loro, non è quel che volevate?

Spostare il pareggio strutturale significa accettare che il debito pubblico cresca. Sia in valore assoluto che in percentuale sul prodotto interno lordo. Non solo è il contrario di quel che era stato detto, ovvero che avremmo rispettato tutti gli impegni presi, ma porta a due pesanti conseguenze: 1. ben più di quel che facciamo di deficit lo spendiamo in interessi sul debito, creando un deficit regressivo anziché sviluppista, e la dimensione di quella spesa dipende non da noi, ma dall’opera della Banca centrale europea; 2. se non centriamo il pareggio strutturale nell’anno precedente al fiscal compact è funambolico che nel successivo si riesca a rientrare di un ventesimo del debito pubblico eccedente il 60%. Discutendo degli 80 euro si prende il fresco, ma quello è il suolo, reso più duro dalla disoccupazione in aumento, lo spostarsi in avanti della relativa riforma e da una crescita bonsai.

C’è la tesi di Filippo Taddei: il fiscal compact non scatta perché l’Italia cresce meno di quel che dovrebbe. Ce ne siamo già occupati: bello, ma non regge. Non solo perché dovremmo fare i convalescenti cronici, ma perché allontanando il pareggio aggraviamo il male (alla faccia di tutti gli allocchi che volevano battessimo i pugni e che dovrebbero sbattere la testa). Cosa può accadere, da qua alla tagliola della diminuzione del debito (comunque da farsi, comunque necessaria), talché si possa fischiettare? Che il prodotto interno lordo torni a crescere del 3 o 4% non lo si vede neanche sotto l’effetto degli allucinogeni. Sicché mi viene il sospetto che qualcuno cominci a guardare con tenerezza le Le Pen, i Farange, i Grillo e compagnia antieuropea cantante. Se di voti ne prendessero tanti, se divenissero i secondi, o magari i primi partiti, andrebbero a scassare il Parlamento europeo, che tanto nessuno se ne accorge e se ne cura, ma suonerebbero la campana dell’ultimo giro per l’Ue fin qui conosciuta. Io non li voterò di certo, perché ne risulterebbe una peggiore, sbilenca, squilibrata, destinata a scrociarsi. Ma per chi campa alla giornata capisco il fascino: stai a vedere che la scapoliamo e i conti non devono tornare così il fretta. Pensierino che può essere fatto in italiano, ma anche in francese.

A quel punto liberi tutti. Si può dire che non si taglia la sanità, che invece va tagliata. E si può dire che mai nessuno diminuì le tasse o rimise i soldi in tasca agli italiani, come se non fossero mai esistite la cancellazione dell’Ici sulla prima casa, l’innalzamento delle pensioni minime e la social card. Si può tornare al dolce tran-tran, agli errori di sempre, ma con spirito nuovo e riformatore. Facendo finta di non sapere che se i conti pubblici sono in permanente squilibrio qualcuno il conto deve pagarlo. Ci prendemmo per le chiappe ieri e ci prendiamo per le chiappe oggi. Sperando che l’esercizio non prenda piede al punto da lasciar intendere che le suddette terga possano essere prese con facilità, dacché un Paese con le nostre ricchezze e con le nostre aziende esportatrici non può certo rassegnarsi a camminare costantemente strusciando le spalle al muro. Per prudenza.

Pubblicato da Libero

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