Politica

Caffè scorretto

C’è un filo rosso che lega un fatto apparentemente banale, il ribasso dei prezzi nel bar dei senatori, al sicuro oltraggio alla Costituzione, per assicurare ai più vecchi il breve pennacchio di presidente della Corte. E’ un filo tessuto con la pochezza e l’insensibilità morale.

Chiariamo subito l’aspetto economico, togliamoci dai piedi la stucchevole demagogia: se anche riducessimo della metà gli emolumenti dei parlamentari, se anche non pagassimo la macchina, a vita, a tutti quelli che hanno preso fior di quattrini stando alla Consulta, non cambierebbe una virgola dei conti pubblici e della situazione economica. Se anche raddoppiassimo (rendendolo normale), o quadruplicassimo il costo del caffè senatoriale, non cambierebbe nulla. Ciò che colpisce, dunque, è cosa diversa: questi signori sanno benissimo di non essere una classe dirigente, si sentono affrancati non dico dal dovere, ma anche solo dall’ipotesi di dare il buon esempio. Sono lo specchio del Paese, con il furbo ghigno di chi ha raggiunto la garanzia, si sente arrivato, gratificato, cinto dalle penne del pavone. La scaltrezza di chi strisciò ed ora si sente intronato.
Dicono, al Senato, che la discesa dei prezzi unitari non comporta maggiore spesa pubblica. Poverelli, non ci arrivano a capire che la costanza di quelli precedenti, già abbondantemente politici, avrebbe consentito minore spesa pubblica. I tagli riguardano sempre gli altri. Dicono, alla Corte Costituzionale, che nella Costituzione non c’è il limite minimo, uniformandosi all’antico adagio secondo cui il diritto sarebbe elastico tal quale lo scroto. A tirar troppo, però, si strappa. In tali risposte senti il profumo dell’arroganza, la saccenza di chi sente d’averti fregato, la sicumera di chi sa che non potrai toccarli. Scrivi e parla quanto ti pare, ma che conti? Nulla. E’ qui il vero pericolo.
Gli arrivati sono degli impotenti, gli altri sono fuori dal gioco, così il discorso pubblico, la vita civile, diventa vacante. Rimbomba il vuoto d’idee e sensibilità. Eppure i problemi ci sono, la crisi morde, le istituzioni si sbriciolano. Quella che dovrebbe essere protesta diventa cattiveria. E quando i tronfi saranno riconosciuti come inutili, il giudizio sarà esteso ai palazzi che abitavano. E’ questa la formula delle democrazie che si ammalano.

Condividi questo articolo