E’ la Francia il malato d’Europa. Non che gli altri scoppino di salute, ma è la Francia che è progressivamente scivolata dal ruolo di potenza continentale, da polo dell’asse reggente, con i tedeschi, a popolo in preda all’introversione. Ora si ritrovano con i teppisti inglesi, provenienti da un Paese che s’interrogherà a giorni sull’ipotesi di fare della Manica un confine politico, che incontrando i magrebini di Marsiglia, i pied noirs di un tempo coloniale, urlano “dov’è l’Isis”. Plastica e alticcia dimostrazione di dove può portare il non governare le paure e le tare degli europei.
La malattia francese era evidente (e la diagnosticammo) quando, in piena crisi speculativa contro l’euro, decisero di mettere le proprie banche al riparo dell’ombrello tedesco. Era conclamata quando il presidente d’allora (Sarkozy) s’esibiva motteggiando contro di noi, accanto ad una imbarazzata Merkel: immaginava di mettere in scena la pari potenza, mostrava invece un’aggressiva subalternità. Da quella crisi in poi molti si preoccupano dell’accresciuta influenza tedesca, sembrando non rendersi conto di cosa l’ha resa possibile: l’implosione francese, il rifiuto si bilanciare rappresentando gli interessi dell’Europa latina, l’illusione di guadagnarci sbilanciandosi, finendo, così, con il perdere identità.
Arriva all’appuntamento con il campionato europeo di calcio trascinandosi dietro scioperi in quasi tutti i settori del trasporto. Il governo invoca la loro fine, perché sia salvo l’onore nazionale. Il sindacato più grosso, la Cgt, riconosce che non è una bella immagine. Ma siamo alle parole, mentre le metropoli restano intasate. Non bastasse, sciopera anche la nettezza urbana. Circostanze sgradevoli, ma non improvvise e momentanee: è un processo di decadenza che si trascina da anni.
Sentendomi cittadino d’Europa vivo Parigi come una città anche mia, facendo incetta nelle librerie, deliziandomi, fino a non molto tempo fa, nel ristorante preferito da Mitterrand (che sulla porta esponeva un cartello: qui si tollerano anche i non fumatori). Ma Parigi va giù da tempo, il caos non è una novità, la spazzatura e il traffico nemmeno. Interi quartieri hanno cambiato etnia. Non solo a favore del mondo arabo, tradizionalmente presente nella capitale francese (difatti siamo alla seconda o terza generazione). Il problema non è la presenza di stranieri, non è la comunità cinese, è il fatto che abbiano consentito la loro concentrazione, fino a creare zone in cui si parla una lingua diversa.
L’essere una potenza nucleare (la force de frappe che aiutò De Gaulle a distinguersi dalla Nato, che si ostinano a chiamare Otan) e una potenza economica, unita alla tradizione politica e culturale, ha nutrito la loro idea di gradeur. L’umiliazione di quel sentimento li ha gettati in una depressione umorale, nel terrore d’essere prede sentendosi predatori. Vivono le necessarie riforme come cedimenti e non come rimedi, mentre il tempo corre e il tassametro della spesa pubblica gira. Una malattia comune, come sappiamo, ma il rinsavimento francese è essenziale al raddrizzamento d’Europa.
Pubblicato da Libero