Politica

Cambiare passo

Del governo abbiamo scritto, con la giusta severità. Come del modo in cui il terzo decreto per la stabilizzazione dei conti è stato concepito e continuamente rimaneggiato. Adesso sono state ripristinate anche le festività. Più che una manovra in divenire è una retromarcia a scomparire. Abbiamo scritto anche come andrà a finire: si punterà sull’Iva. Ma questo è solo un lato della medaglia. Con la stessa chiarezza e ruvidezza occorre dire che molte delle cose che si sentono, dai governi tecnici a quelli di transizione, prefigurano soluzioni peggiori. Siamo alla fine di un percorso, per iniziarne uno nuovo non si deve fuggire dalla politica, ma ridarle significato e futuro. Non è l’ora dei presunti marziani, ma di una nuova generazione.

Detto così fa pena anche a me che lo scrivo, perché le chiacchiere generazionali sono fanfaluche, roba per gente che non sa che altro dire. Ma abbiamo bisogno di una rottura. Non è questione d’età, ma di aprire le porte ad una classe dirigente che non sia legata al bisogno di perpetuare lo scontro sul passato e che non sia dipendente dai suoi dogmi. A cominciare dal credere che il nostro welfare state sia l’unico modello esistente di giustizia sociale. Ci costa troppo, è divenuto un peso, o lo sganciamo o ci porta a fondo.

Gli errori del governo hanno mobilitato le truppe dei “diritti acquisiti”, ma il denunciarli non ci esime dal dire che quelle sono le truppe di una guerra persa. E ingiusta. Né si può credere che per neutralizzarle si deve far ricorso a governi “diversi”, la cui caratteristica è quella di non dipendere dal consenso elettorale, perché in quel modo non si rimedia ai conti economici e alla speculazione sugli spread, ma, anzi, si sacrifica la democrazia su quell’altare mendace.

Quali sono le cose da farsi lo sappiamo. Lo si sa a destra come a sinistra. La formula da adottare non è quella di far cassa per placare la speculazione, cosa che faremo con l’Iva, ma quella che scarica la zavorra il cui peso ci blocca. Occorre lavorare sulle pensioni e sulla spesa sanitaria, riducendo i costi e non avendo paura di nuocere a privilegi. Occorre privatizzare quel che non ha senso sia pubblico e occorre liberalizzare quel che è costoso mantenere nelle mani di pochi. Se non ci si vuole ridurre ad amputare si deve sapere potare. Con la mano ferma. Il consenso arriverà, perché i beneficiati sono più numerosi dei danneggiati e non si conserva il passato sopprimendo il futuro. L’Italia ha una potente possibilità di crescere, ma per attivarla occorre togliersi dal groppone i mantenuti e gli inutili. Se qualcuno (tanti) dice che si trovano solo in politica non sbaglia: mente.

Non so quando arriveremo ad una competizione che veda contrapposti Angelino Alfano e Matteo Renzi. Non so neanche se ci arriveremo. Non credo che possiedano capacità salvifiche e i miracoli non li fa nessuno. Ma occorre che ci sia qualcuno, figlio della politica, che chiuda i conti con il passato e metta mano alla trasformazione del Paese, compresa una vigorosa piallatura di procure e procuratori che sembrano più agenti di cancrena che non personale di giustizia. Uso i loro nomi solo perché sono due protagonisti la cui eventuale vittoria non induce gli sconfitti a sentirsi persi o minacciati, perché una competizione di quel tipo contrappone due ricette (comprendenti temi non solo economici), non due mondi, due etnie, due credi. Chi vince faccia quel che deve, chi perde si prepari per il dopo.

L’attuale destra non ha un futuro, l’attuale sinistra non ha neanche un presente. I pretendenti al commissariamento, che sbucano numerosi, non hanno altro che un alto, e spesso ingiustificato, concetto di sé. Da venti anni ci trasciniamo negli effetti del crollo della prima Repubblica, essendo riusciti a seppellirne gli aspetti migliori e lasciandone i difetti in circolazione. Ora basta, perdere la forza e la voglia di dar vita alla terza è troppo costoso e troppo pericoloso.

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