Se Augusto Minzolini avesse dedicato i suoi anni giovanili a tirare molotov e a militare nelle formazioni comuniste che intendevano annientare il capitalismo, salvo poi indossare l’abito buono e divenire portavoce e compagno di merende di qualche capitalista (con capitali pubblici) nostrano, oggi la sola idea che si possa far tacere la sua voce, togliendogli lo spazio degli editoriali al Tg1, solleverebbe l’onda retorica della rivolta contro la censura. Si direbbe che Minzolini non dev’essere imbavagliato. Ma l’attuale direttore del telegiornale Rai occupò in modo diverso il suo tempo, fu stimato notista politico e ora non si nasconde dietro un dito e dice apertamente quel che pensa, insolentendo le folte schiere del luogocomunismo sinistro (rinfoltite da chi marciò al passo dell’oca). Sicché non solo si dovrebbe farlo tacere, ma auspicabilmente arrestarlo per uso improprio della carta di credito.
Sono grato a Minzolini, che consente di dire due cose, non incompatibili: 1. bravo, continua così, ogni volta che percepisco lo scandalizzato sconforto di quanti sono adusi a darsi ragione fra di loro vorrei baciarlo in fronte (lo spazio non manca); 2. bravo, ma non ha senso che gli italiani debbano continuare a pagare un’imposta (pretesa in modo sempre più arrogante e largamente evasa) per finanziare un’azienda di Stato che di mestiere fa l’editore, amministrata secondo le mai tramontate regole della lottizzazione.
Intendiamoci: quando il governo Prodi nomina un direttore del Tg1 suo amico, si dice che è un ottimo professionista; quando il governo Berlusconi fa la stessa cosa, lo si definisce un servo, un venduto. Meritano pernacchie. Ma perché mai io devo pagare i costi di un editore pubblico, condotto a questa maniera? La Rai ha smesso d’essere un servizio pubblico da lustri. Il problema che veramente si pone non è affatto quello del pluralismo informativo, ma, semmai, quello del sostegno alle produzioni cinematografiche nazionali. Peccato che nessuno ne parli e peccato che quando quell’industria viene sovvenzionata i quattrini se ne vadano in porcate epiche. Quello, comunque, è un problema vero, mentre l’angoscia per la libertà e il pluralismo è falsa. Come il caso di Minzolini ampiamente dimostra.
Leggo che per recuperare ascolti e dignità la Rai s’appresta a rimettere nello schermo Fiorello. Fanno bene, perché è bravo. Ma se non ce lo mettono loro ce lo mettono altri, e l’unica differenza consiste nel fatto che laddove il privato guadagnerebbe il pubblico non riuscirà a raddrizzare i conti. La Rai fu strumento culturale negli anni di Ettore Bernabei. Fu poi veicolo di pluralismo e strumento di battaglia politica (a difesa del monopolio, quindi per una causa sbagliata) negli anni di Biagio Agnes. Dopo di che è solo il costoso fossile di un mondo in cui esistevano i partiti, che pretende di praticare la spartizione nell’epoca delle camarille. Insomma: non c’è un solo buon motivo per lasciarla così com’è, per non venderla. Neanche i dispetti di chi fa le linguacce ai tanto per benino, che sopra al tavolo praticano l’ipocrisia benpensante e sotto al tavolo chiedono soldi, coproduzioni, assunzioni, promozioni e, se proprio non c’esce niente, almeno provini propiziatori per generose illuse. Il canone lo pago, ma ogni volta lo sento come un furto.