Politica

Cantonate da evitare

L’identità del prossimo ministro dei lavori pubblici, ribattezzato “delle infrastrutture e dei trasporti”, rivelerà quel che il governo pensa di sé. Ci dirà cosa Matteo Renzi immagina possa accadere e come intende regolarsi. Maurizio Lupi ha perso l’occasione di usare le proprie dimissioni per dimostrare di avere capito cosa le aveva rese necessarie, approfittando del coraggio che la caduta dovrebbe e potrebbe dare per porre anche gli altri innanzi a responsabilità e malcostumi diffusi (e per questo più, non meno gravi). Invece ha prima provato a evitarle, poi le ha intestate al desiderio di proteggere la propria famiglia. Istinto degnissimo, ma anche un filino ironico.

Se il prossimo ministro fosse dello stesso partito del dimissionario se ne dedurrebbe che il governo funziona per feudi. La passione di Renzi per il consenso rende difficile questa ipotesi. Se fosse uno ascrivibile più al giro della fiducia e dell’adorazione renziana che a quello del Pd, il governo diverrebbe un monocolore personale aperto a partecipazioni di quanti non disturbano e neanche contano. Tale scelta rivelerebbe la consapevolezza, o la voglia, di un prossimo punto di caduta. Una predisposizione propagandistica. E se fosse Raffaele Cantone? Bingo: si rafforzerebbe l’esecutivo; quelli dell’Ncd non potrebbero fiatare, anche perché senza fiato; si racconterebbe al pueblo la favola bella della corruzione stroncata. I giornali, del resto, fanno a gara a chi, intanto, pubblica la foto di Cantone. Magari nei pressi delle pagine in cui pubblicano la stessa foto, ma a pagamento, per la promozione del di lui libro. Con tutto il rispetto per la persona, anzi (per citare Totò) a prescindere dalla persona, sarebbe una pessima scelta. Già mi preoccupa che se ne parli senza avvertirne lo stridore.

Se la principale preoccupazione dei Lavori Pubblici non è discutere di quali si fanno, per quali ragioni e in funzione di quali interessi; se le infrastrutture non vengono valutate in ragione del loro produrre modernizzazione e sviluppo (come è capitato con la Tav); ma tutto si lega alla supplice speranza che l’investire soldi pubblici non significhi innescare tangenti, allora c’è una sola cosa da fare: non farli. Né gli investimenti né i lavori. Saremo incorrotti asceti, stanziali per mancanza di vie di trasporto. Ma sempre meglio che ciarlieri moralisti lesti alla corruzione, resi immobili dall’ipocrisia. L’onestà è una precondizione, non può essere un programma politico.

E poi, cosa s’intende per onestà? Certo, è ovvio, il non commettere reati. Ci mancherebbe. Ma esiste anche un’altra onestà, che nella vita pubblica è rilevante: fare il proprio dovere, misurarsi con i risultati, non apparire artatamente diversi da quel che si è. Quello del magistrato è un lavoro difficile. Da ammirare, se fatto bene. Il magistrato deve essere, ma anche apparire indipendente. Lo è chi lavora per il governo? Certo, sì, ci può stare. In fondo è il governo del Paese, di tutti. Lo è chi è chiamato a consigliare il legislatore su che norme adottare? Anche, sì. Ma, insomma. Lo è chi riceve un preciso incarico governativo, mettendosi in aspettativa dalla magistratura? No. Non lo è. Non può esserlo, perché mette le mani nella carne viva degli interessi. Domani potrebbe trovarsi a giudicare quel che ha contribuito a determinare. Se fa un buon lavoro, che il cielo lo benedica, ma non può poi anche giudicarlo. Non può essere indipendente da sé medesimo. E chi riceve l’incarico di guidare l’anticorruzione nel marzo del 2014, può fare il ministro un anno dopo? No. Vorrebbe dire che quello era un trampolino di lancio, volendosi escludere che il lavoro sia oramai concluso.

Cantone ministro sarebbe gettare nel frullatore la politica e la Costituzione, ove della prima s’esalterebbe il sapore della viltà e della seconda si perderebbe quello della separatezza istituzionale. Già frulla da tempo. Non si sente il bisogno di accelerarne l’opera spappolatrice.

Pubblicato da Libero

Condividi questo articolo