Politica

Carosone style

Lo stadio di Torino e la Camera dei deputati hanno una cosa in comune: chi ama la foga degli scontri non è interessato al merito della partita, mentre le fazioni esistono non per passione verso quel che succede in campo, ma per trovare nella contrapposizione la propria identità. Se non ci fosse la scusa del tifo e quella della legge, i due gruppi sembrerebbero popolati solo da idioti tatuati e inutili eletti. La meta dei facinorosi, però, è opposta: i violenti di Torino, alla fine, sperano di potere tornare indisturbati a casa, mentre i loquaci di Roma sperano solo di non tornarci mai.

Chi fa sfoggio di crudo realismo politico invita a considerare che Matteo Renzi ha i numeri per far passare la legge. E se anche un pezzo, un pezzettino, del suo partito dovesse volersi mettere di traverso, trovando il coraggio e la determinazione fin qui mancati, ci sarebbe una considerevole porzione dell’opposizione pronta al soccorso. I voti palesi saranno diversamente popolati rispetto a quelli segreti. Ma in entrambe i casi a favore del governo. Inoltre, è dal novembre del 2011 che il solo compito del Parlamento è approvare una nuova legge elettorale. Sicché inutile far gli schifiltosi. Tale atteggiamento, però, si pensa realistico, ma è onirico. Perché la riforma serve solo a regolare una partita di potere, restando sospesa fino almeno al luglio 2016 e, comunque, fin quando non sarà stato cancellato il Senato elettivo. L’urgenza, quindi, è solo una fregola per mettere a tacere i rompiscatole, o per provocare una rottura che eviti al governo di fare i conti con i conti che non tornano.

Quando anche le cose andassero come Renzi desidera, l’effetto non sarebbe il consolidamento del bipolarismo, ma il trionfo del trasformismo. Sia con il risorgere dei listoni salsiccia, sia con il nomadismo parlamentare post elettorale. Renzi vorrebbe chiamare Partito democratico quello che oggi è il Partito socialista europeo, ed è andato a dirlo ad Obama. Mentre Silvio Berlusconi vorrebbe chiamare Partito repubblicano il nuovo fritto misto dei candidati all’incapacità di governare. Una specie di Repubblica Carosone style. La democrazia statunitense non è bipolare, le elezioni presidenziali e parlamentari non si fanno con due candidati e se qualcuno andasse a proporre loro di assegnare con un ballottaggio un plotone di parlamentari sarebbe preso per scemo. La democrazia dei partiti presuppone la politica nei partiti. A destra siamo all’encefalogramma piatto. A sinistra siamo alle truffe delle primarie e alle sommosse assembleari. Con la nuova legge non si rimette la politica in carreggiata, ma il Parlamento su un binario morto.

Ma a chi importa? Quel che ora preme è dimostrare che la propria forza è prevalente, cosa che a Renzi è facilitata da un’opposizione interna che sa di avere perso la partita con la storia e da un’opposizione esterna che si ritrova nella singolare condizione di sostenere essere minaccioso per la democrazia quel che ha già votato favorevolmente, al Senato. Quella di Torino era una bomba carta, questa è di cartapesta. Le democrazie non temono il sorgere e l’affermarsi delle forze, anche perché spesso portate dalle onde della storia. Le democrazie tremano al veder sorgere le debolezze tonitruanti, anche perché specchio di storie che finiscono male. La nostra sorte collettiva non è in nulla legata a questo dibattito rovente, destinato a occupare i giornali per giorni. Per questo verrebbe voglia di dire, a molti di quelli che nell’emiciclo parlano, che sarebbe il caso d’essere meno retori e più realisti, meno persi in sé e più utili a tutti. Poi li guardi in faccia e capisci che non capirebbero.

Pubblicato da Libero

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