Mannaggia al caso Guidi e alle faccende interne alla bottega italica, che hanno oscurato l’importanza e i successi del viaggio statunitense del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, nonché i contenuti del suo incontro con il presidente americano, Barack Obama. Il guaio è che, anche a cercare, non si riesce bene a capire quali siano, i reclamati successi.
Fra le fonti ufficiali c’è twitter. Il contenuto più importante arriva dal vivo dito di Renzi: “Grazie, Presidente Obama. L’Italia proseguirà con grande determinazione l’impegno per la sicurezza nucleare”. Bello. Peccato che un tale comunicato sarebbe potuto essere scritto da qualsiasi governo italiano, in qualsiasi momento, in uno qualsiasi degli ultimi sessanta anni. Se non se ne trovano tanti, altrettanto sintetici e impegnativi, è solo perché, suppongo, in molti li avrebbero trovati un po’ troppo privi di sostanza.
La delegazione governativa italiana (era presente anche il ministro degli esteri, Paolo Gentiloni), ha preso parte a una cena di lavoro, alla Casa Bianca. Di quella restano tre tracce: 1. una foto in piedi, con Obama, segno che non si sono neanche seduti, per uno scambio di idee; 2. la constatazione che fra il nostro ministro degli esteri e quello statunitense, John Kerry, ci sono buoni rapporti, e son cose che inorgogliscono; 3. un comunicato di Federica Mogherini, alto commissario europeo per la politica planetaria, che ha sottolineato la “necessità di lavorare su tutte le componenti della strategia di Obama a Praga, nel 2029”. Che è un programma a lunga gittata, salvo il fatto che Obama finisce d’essere presidente all’inizio del 2017 (le elezioni saranno il prossimo novembre) e che nel 2029 non ci sarà neanche il suo successore.
Forse la notizia consiste nel fatto che Renzi e Mogherini hanno cenato allo stesso tavolo. E son cose che rallegrano. In quanto agli incroci c’è da dire che Renzi ha anche visto, ma di sfuggita, Nerendra Modi, capo del governo indiano. Ma della lunga e dolorosa piaga che affligge i rapporti fra i nostri due paesi, ovvero le accuse e il processo a due militari italiani, si sono detti solo che entrambe hanno ereditato il problema dai precedenti governi. Se è per questo i loro Paesi preesistevano alla loro nascita, non sembrando un buon motivo per non provare a fare qualche cosa di utile.
Il tema spinoso era ed è la Libia. A molti era sembrato che nel precedente incontro, alla Casa Bianca, gli italiani avessero chiesto la guida dell’intervento in quel quadrante, tanto che gli americani avevano chiesto una stima delle forze mobilitabili, quantificate da parte italiana in cinquemila uomini. Di questo, almeno, era informato e convinto l’ambasciatore statunitense in Italia, che lo ha ricordato in una non rituale intervista. Come è andata, sul punto? L’Italia ha chiarito la posizione: “leadership significa che siamo pronti a dare una mano dal punto di vista degli aiuti sociali, delle forze di polizia, della cooperazione internazionale, non che ci alziamo la mattina e andiamo a bombardare qualcuno”. Peccato che una simile posizione potrebbe valere per qualsiasi posto o crisi. Chi non è disposto a dare una mano? E peccato che gli italiani possono pure restare coricati, al mattino, ma i bombardamenti alleati sono già in corso, anche con la nostra non bombardante collaborazione. E se prima la dottrina era: siamo pronti a intervenire militarmente, ma solo se ce lo chiede il governo libico, ora, dopo che un governo è stato fatto sbarcare e s’è rinchiuso in una fortezza, l’aggiornamento è: “ci hanno chiesto aiuti economici, non certo militari”. Grazie, quelli si fanno la guerra fra tribù, con legioni di mercenari, nulla di meglio che farseli pagare da altri.
Teste e lische sul resto dello scenario, compresa la brutta sensazione che qualche alleato stia cercando di crearci difficoltà in Egitto, approfittando poi dell’impaccio con cui si gestisce la brutta storia di un nostro connazionale morto ammazzato. In quanto agli altri successi, raccolti nel corso del tour americano, sento ripetere di un investimento Ibm nell’ex area Expo. Meraviglioso. Ma spero non sia troppo da boccuccia considerare che si tratta di un investimento non epocale, che dall’area asiatica spendono assai di più per comperare da noi alberghi e squadre di calcio, in ogni caso non tale da potere riempire di sostanza un viaggio governativo. Non, almeno, della seconda potenza industriale d’Europa. A parte ciò, resta una corsa mattutina a Chicago e una cantata con il sindaco (qualcuno ricorda cosa si scrisse di Giovanni Leone, canterino presidente all’estero?).
Forse è proprio la distrazione Guidi che ci aiuta a rendere spensierato questo fine settimana primaverile.
Pubblicato da Libero