Politica

Censura europea alla tv italiana

Il Parlamento Europeo, nell’ultima seduta di questa legislatura, ha votato una pesante censura all’Italia, rea di avere messo in pericolo la libertà ed il pluralismo, consentendo un’intollerabile concentrazione nel settore televisivo. Se la merita, l’Italia, questa censura? Sì, questa politica, questa maggioranza, questo governo meritano la censura.

E non perché sia vero e reale il pericolo denunciato da una semidelirante relazione presentata da una liberale olandese, ma perché chi non è capace di far politica dovrebbe dedicarsi ad altro.
La scena si svolge al Parlamento Europeo, dove i signori parlamentari dovrebbero porsi, ed in fretta, il problema del futuro della nostra industria culturale e dell’informazione. Si sono accorti che stiamo andando male? E come facciamo ad andare male, visto che, come Unione, dovremmo essere il più vasto e più ricco mercato del mondo? Ci riusciamo perché la nostra industria dell’informazione è poco concentrata. Esatto, avete letto bene: poco concentrata. Se si prendono i numeri, che hanno la testa dura, si scopre che non c’è paragone fra il fatturato dei gruppi europei e quello dei gruppi statunitensi, con il risultato che gran parte dei contenuti da noi trasmessi sono d’origine americana.
Il Parlamento Europeo dovrebbe avere a cuore l’industria culturale europea, e dovrebbe sapere far di conto. Lo sanno, i signori parlamentari, che uno dei gruppi europei meglio messi, la Endemol (Il grande fratello, per intenderci), non è posseduta da editori televisivi, ma da una compagnia telefonica? E che morale ne traggono? Questa è la morale: si deve favorire la concentrazione incrociata, anche perché i fatturati televisivi sono noccioline, a fronte di quelli derivati dalle telecomunicazioni.
Passare, invece, il tempo a misurare quanta pubblicità prendono i giornali e quanta la televisione, per giunta leggendo dati sbagliati e male interpretati, significa perderlo, il tempo. A me interessa di più sapere due cose: quel’è l’origine industriale dei contenuti che attirano più pubblicità, e qual è l’origine dei prodotti più pubblicizzati. Così, tanto per parlare del futuro dell’Europa.
Il voto del Parlamento Europeo, da questo punto di vista, prima di essere condivisibile o meno, è semplicemente inutile e fuori tema. Anzi, ne segna l’irrilevanza politica ed istituzionale. Non si deve dire? È sconveniente farlo alla vigilia delle elezioni? E chi se ne importa, perché questa è la realtà: i cittadini europei neanche sanno come i parlamentari europei occupano il tempo, e non lo sanno perché non è rilevante.
Vogliamo occuparci di libertà, di bavagli, di pluralismo? E sia. La relazione approvata prese le mosse da uno studio fatto dal Consiglio d’Europa. In quell’ambito l’Italia è il paese più condannato per denegata giustizia, al punto da rischiare l’espulsione. Ebbene, se la politica esistesse, se di queste cose si parlasse seriamente, qualcuno si sarebbe premurato di denunciare il fatto che da noi se vieni querelato da un magistrato vieni poi giudicato da un suo collega. Una volta condannato, un altro loro collega s’incarica di toglierti il portafoglio. Motivo per il quale la cronaca giudiziaria, in Italia, esiste solo per la pubblicazione delle veline messe in giro dalle procure, il che sarebbe un reato, ma la cui persecuzione è in disuso, visto che dovrebbe essere a cura dei colleghi di chi lo commette. Chiaro? Questo è un attacco alla libertà.
Se ne trova cenno nel coraggioso lavoro del Parlamento Europeo? Se ne trova cenno nella coraggiosa battaglia di chi s’oppose alla relazione votata? Niente, buio.
Ed a proposito di pluralismo: in Italia ci sono più televisioni e radio di tutto il resto d’Europa messo assieme, il che non è segno di vitalità, ma di caos. Detto questo, però, cercare di misurare il pluralismo misurando l’indirizzo che prende l’investimento pubblicitario significa, né più né meno, che avere un’idea tardosovietica dell’economia. Il che significa che se si vuole, come si deve, tenere in equilibrio la libertà dell’informazione e della cultura con la forza e la competitività del mercato, si deve pensare ad un antitrust europeo, misurato nell’ambito europeo, e tenendo in conto che la competizione non si svolge nell’ambito di ciascun paese aderente, ma nel mercato globale.
Se questa è la realtà, allora il voto del Parlamento Europeo è una barzelletta.
Meritata, però. Perché se queste cose non si ha la capacità ed il coraggio di sostenerle, allora tutti parlano guardandosi la punta delle scarpe, tutti svolgono una pietosa parte in commedia: da una parte chi cerca la sponda europea per attaccare Berlusconi, dall’altra chi fa della difesa di Berlusconi un valore politico. Due ciechi che si accompagnano a passeggio. Ogni tanto sbattono il cranio sul muro, e se lo meritano.

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