Politica

Cerimonia congressuale

Quello del PdL non è un congresso, è una cerimonia. Il matrimonio è già stato consumato elettoralmente, c’è già la prole, ora è anche rato, sicché neanche il diritto canonico avrà da ridire. Dal podio si succedono gli interventi, ma solo per non far vedere che parla uno solo. Si voterà, ma solo per evitare che si lamenti l’assenza di votazioni. Il copione è scritto e non si recita a soggetto. La cerimonia, però, non è falsa, non è “plastificata”, secondo la definizione beota che tanta fortuna ha portato a Berlusconi. E’ assai più vera dei vecchi congressi di partito, perché in quelli si scontravano correnti il cui peso era dato dalle tessere, ovvero dalla quintessenza del falso, mentre qui non si scontra nessuno, ma s’incarna un’Italia reale. Talmente reale, da sembrare una forzatura artistica.
A Repubblica si danno il premio di consolazione: “l’Italia resta a destra, ma il Pd recupera”. Balle, l’Italia non è a destra manco per niente, è sempre lì, ferma, speranzosa di salvare capra e cavoli, impresa privata e spesa pubblica, dinamismo ed assistenza, mai disposta ad affidarsi ai comunisti. Sì, ridete dementi! Riditelo, che i “comunisti” non esistono. Il problema è gigantesco e ammazza la sinistra, che vince solo se si mette in mano a Prodi, ovvero ad un democristiano garante dell’immobilismo. Berlusconi deve molto alla Rai, per l’ascesa televisiva, come deve molto alla sinistra ed al suo giustizialismo fascistoide, per l’ascesa politica.
Il nuovo partito è il suo leader, come accadde a De Gaulle. Ha il potere di fare, in un momento difficile. Questo è il vero cimento. Dietro il capo c’è poca classe dirigente: molti parlamentari per caso, molti addestrati in partiti che non esistono più. Trovare il modo per selezionarla, non ricorrendo al solo metro della tremula fedeltà, è indispensabile per guadagnarsi un futuro. Il guaio è che, come in tutti i mercati, anche in quello politico la qualità aumenta con la concorrenza, ed a sinistra emergono berlusconidi imbarazzanti, leaderini che ironizzano sulle parole che non cambiano, laddove il dramma è di chi non può ripetere quel che diceva. Perché, giustamente, se ne vergogna. Per imitare il capo altrui mettono al proprio un sacco di mostrine, pecette e berretto: li cambiano spesso, ma sembrano sempre portieri d’albergo.

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