Immaginate il festival del cinema a Venezia. Immaginate un bel film sulla cultura dell’America Latina, sul suo bisogno di far prevalere la legge e l’ordine, in modo da propiziare lo sviluppo e far uscire tanta gente dalla fame. Immaginate un motoscafo che s’avvicina e ne discende Augusto Pinochet, con la sua divisa
militare ed i suoi occhiali scuri, da perfetto golpista. Lo immaginate anche acclamato dalla folla degli imbecilli presenti? Bene, adesso smettete di immaginare, perché è tutto successo veramente, solo che il dittatore si chiama Hugo Chavez, ed essendo un nemico degli Stati Uniti è vissuto non come un carnefice della libertà, ma come un compagnero combattente.
Il citato dittatore sbarca a Venezia, e, così per gradire, afferma che a lui Israele sta proprio sulle balle. Una battuta? Trattasi della stessa persona che fornisce agli iraniani la materia prima per proseguire la loro corsa verso l’atomica, e gli iraniani sono quelli che Israele vogliono cancellarlo dalla carta geografica. Insomma, il ciccio Chavez non è un sergente Garcia da prendere alla leggera, ma un persecutore, amico e socio di persecutori.
Se a Venezia si celebrasse qualche cosa che ha a che vedere con la cultura, sarebbe stato ragionevole attendersi una reazione, tipica di persone che ragionano con la loro testa, non con quella dell’ufficio marketing, non con la bussola puntata sul luogocomunismo globalizzato. Invece è regnato il silenzio, con gli applausi a cura della piccola folla che acclama i divi, fedeli praticanti della religione della fama, talché l’importante è essere noti, benché ignobili.
Neanche ho letto di qualche critico che abbia suggerito ad Oliver Stone, il regista del film dedicato al dittatore, che dopo il santino confezionato per Fidel Castro, l’uomo che ha reso Cuba un lager tropicale, il persecutore degli omosessuali, il soppressore dei dissidenti, forse è il caso che vada lui a vivere come un cubano o come un intellettuale venezuelano. Niente, il silenzio.
Per non dire dei giornali, che apprestandosi a manifestare per la libertà di stampa pubblicano la cronaca del massacratore sul tappeto rosso scordandosi di dire che, dalle sue parti, il problema della libertà di stampa neanche si pone.
L’anno prossimo dovrebbero invitare Ahmadinejad, o direttamente Bin Laden. Dico sul serio, perché, con la loro presenza, darebbero un senso positivo alla frotta di zoccole discinte che, in questi tristi giorni, popola la laguna.